Il magistrato Laronga: “La mafia foggiana, per troppo tempo sottovalutata, è diventata una potenza criminale”

Il magistrato Laronga: “La mafia foggiana, per troppo tempo sottovalutata, è diventata una potenza criminale”

Quando in Italia si parla di criminalità organizzata, il pensiero corre subito alle stragi compiute dalla mafia siciliana, al narcotraffico gestito dalla ‘ndrangheta calabrese o alle sanguinose faide tra clan rivali della camorra napoletana. Eventi eclatanti, che negli ultimi cinquant’anni hanno conquistato le prime pagine dei giornali e minato il tessuto economico, sociale e culturale del nostro Paese. Nella provincia di Foggia, però, stava nascendo lontano dai riflettori una nuova organizzazione criminale che, dalla fine degli anni Ottanta, ha iniziato a terrorizzare la popolazione con azioni sempre più aggressive e sanguinose. Nel corso dell’ultimo decennio, la sua influenza sul settore produttivo e sulle amministrazioni comunali pugliesi e di altre regioni italiane si è fatta così pervasiva da spingere nel 2020 Federico Cafiero De Raho, in quel momento procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, a definirla il “primo nemico dello Stato”. 

Radiografia della quarta mafia 

La sua storia e l’inquietante evoluzione che ha subìto nel tempo sono raccontate con dovizia di particolari in L’ascesa della quarta mafia. Espansione e metamorfosi della criminalità organizzata foggiana, (2024, Zolfo Editore), l’ultimo libro di Antonio Laronga, procuratore aggiunto del tribunale di Foggia. Il magistrato si occupa anche del coordinamento investigativo tra la sua procura e la Direzione distrettuale antimafia (Dia) di Bari, con cui ha svolto indagini di grande rilievo. Grazie ad un’esperienza trentennale Laronga, che lavora nella provincia dal 1996, ha acquisito una profonda conoscenza del modus operandi di questa organizzazione criminale, a lungo sottovalutata. Conoscenza che, in quanto «primo, fondamentale anticorpo contro la diffusione del letale virus mafioso», ha deciso di condividere con un pubblico il più ampio possibile. La prima cosa che l’autore mette nero su bianco è che sarebbe più corretto parlare di mafie al plurale. Sono infatti quattro i gruppi autoctoni, formati da clan o cosche familiari, che controllano ciascuno una città tra Foggia, Cerignola, San Severo e Monte Sant’Angelo, insieme ai territori circostanti. Poi, con linguaggio chiaro e prosa scorrevole, passa ad illustrare le strategie sempre più sofisticate con cui queste giovani mafie hanno gestito i propri affari, condizionando negativamente l’economia dell’intera provincia. Se in un primo tempo hanno usato la violenza per ottenere profitti da estorsioni, usura e narcotraffico, negli ultimi anni si sono serviti di politici e colletti bianchi per tagliare traguardi ben più ambiziosi.   

L’infiltrazione nell’economia 

«Non nascondo che sia complicato combattere la criminalità organizzata nella sua evoluzione affaristico-imprenditoriale racconta Laronga perché l’ampliamento degli obiettivi strategici di alcuni clan, passati dalle predazioni violente dei territori di origine alla realizzazione di raffinati progetti criminali, ha portato ad una infiltrazione silente dell’economia legale della Capitanata, di altre regioni italiane e addirittura di Paesi stranieri. È chiaro che se agiscono in modo carsico, sotterraneo, è più difficile individuare i loro traffici illeciti». Secondo il procuratore aggiunto, questo è uno dei motivi per cui oggi si parla sempre meno di mafie, ma anche la ragione per cui le organizzazioni criminali non vanno più a caccia di killer ma di professionisti in grado di farli entrare negli ambienti che contano. Creare o acquisire aziende commerciali, investire capitali e fare affari con imprese sane sono attività legali che servono a riciclare denaro sporco, moltiplicare i profitti ed estendere la propria influenza sulle ricche regioni del nord Italia. 

I mister Wolf del male 

«In questi contesti le mafie si presentano come agenzie in grado di soddisfare una serie di necessità che vanno dalla richiesta di droghe e prostitute, al desiderio degli imprenditori di abbattere i costi di produzione e accrescere i margini di guadagno spiega Laronga.  Un classico esempio sono le società a cui vengono esternalizzati determinati servizi. Io le chiamo “apri e chiudi” perché operano per brevi periodi, sono intestate a dei prestanome e non pagano tasse o contributi ai dipendenti. Dopo aver accumulato debiti per milioni di euro nei confronti del fisco, falliscono per insolvenza». Un meccanismo che ha creato un disastro nell’economia e nel mercato del lavoro di quella parte del Paese. 

Risultati altrettanto negativi si possono riscontrare in altri settori su cui le mafie foggiane hanno allungato i tentacoli, da quello agroalimentare alle energie rinnovabili, fino ad arrivare allo smaltimento dei rifiuti pericolosi. I loro affari milionari, sottolinea il procuratore aggiunto nel suo libro, deprimono lo sviluppo economico delle aree sottoposte al loro controllo, impedendo gli investimenti produttivi e infrastrutturali, riducendo la qualità e la quantità della forza lavoro e mettendo in grande difficoltà le imprese legali e concorrenti. Non è un caso che le province con una maggiore permeabilità alla criminalità organizzata occupino gli ultimi posti nelle classifiche sulla qualità della vita. 

Vincere le mafie è possibile 

Nonostante il quadro sia complesso, per Laronga si può estirpare questo cancro, se si agisce allo stesso tempo sul fronte legislativo, culturale e delle politiche sociali: «Le mafie non possano essere contrastate solo con le manette e il carcere, ma è necessaria una riforma dell’apparato repressivo per eliminare le sue inefficienze. Al momento, però, la classe politica nazionale ed europea sembra più interessata a limitare i poteri della magistratura invece che alla lotta contro la criminalità organizzata». Al Parlamento, poi, dovrebbe essere affidato anche il compito di promuovere politiche efficaci contro le fragilità economiche e sociali che caratterizzano soprattutto il sud Italia: «Le associazioni di tipo mafioso attecchiscono facilmente dove la qualità della vita è bassa, la ricchezza è poco diffusa e il tessuto imprenditoriale è vulnerabile». D’altra parte, commenta, «se si nega ai cittadini il diritto alla salute, al lavoro, allo studio e così via, la fiducia nello Stato entra in crisi e la criminalità ha la strada libera per creare intrecci perversi con il sistema economico, sociale e politico del territorio». 

Infine, è necessario un nuovo modello culturale capace di sviluppare nella società civile una rinnovata percezione della legalità e dell’etica: «Bisogna smontare quella sottocultura che induce molti giovani a pensare che essere legati alla malavita possa dare loro autorevolezza, ricchezza e uno stile di vita di cui andare fieri sostiene il procuratore. Altrettanto importante è combattere l’omogeneità culturale che consente ai mafiosi di trovare consenso nella parte sana della società civile, e in particolar modo in quella borghesia che ha mezzi e conoscenze per favorire la loro infiltrazione nel mondo degli affari puliti». 

L’importanza dei giovani e della scuola 

Anche per questo motivo Laronga partecipa spesso a incontri organizzati in scuole, università, associazioni culturali e parrocchie: «Cerco di dare alle persone gli strumenti per fare antimafia in modo indolore. Non chiedo a chi vive in questi territori di fare l’eroe. Certo, se hanno il coraggio di denunciare, ben venga. Ma almeno spero di convincerli a non schierarsi dalla parte dei criminali». Incontri che diventano particolarmente significativi se a seguirli sono le giovani generazioni, più esposte alle influenze della sottocultura mafiosa che viaggia attraverso i social: «É fondamentale che si rendano conto di quanto sia falsa la rappresentazione di certi ideali. Grazie alla mia esperienza professionale posso dire che queste persone conducono un’esistenza miserabile, sempre in fuga, braccate dall’eventualità di una morte violenta o di un lungo soggiorno in carcere. Se riescono a conquistare soldi e potere, non se li godono mai a pieno». A deluderlo è spesso l’atteggiamento di chi minimizza la gravità della situazione, ignorando l’influenza pervasiva delle mafie nel tessuto economico e sociale. Eppure, secondo Laronga, non esistono alternative: «Se pensiamo di delegare il loro contrasto esclusivamente alle forze dell’ordine e alla magistratura, non ce la faremo. L’unico modo – ribadisce – è condurre una lotta globale, fatta di iniziative coraggiose intraprese da Stato e istituzioni locali, e alimentata da una forte cultura antimafia, capace di smuovere le coscienze di conniventi e indifferenti. Poi, tutto dipende da noi – conclude – da quanti decideranno di raccogliere questa sfida e combattere per il riscatto politico e sociale della propria terra».