Rosaria Capacchione: “Dagli anni ‘80 lotto contro i Casalesi. Schiavone? Un pentimento finto. Ai giovani dico: studiate e analizzate la realtà per cambiarla” 

Rosaria Capacchione: “Dagli anni ‘80 lotto contro i Casalesi. Schiavone? Un pentimento finto. Ai giovani dico: studiate e analizzate la realtà per cambiarla” 

‹‹La criminalità organizzata c’è sempre stata e ci sarà sempre. Il problema è come e in che misura la società civile si rapporta ad essa››. Rosaria Capacchione, verace cronista campana classe 1960, ha lavorato come giornalista professionista dai primi anni ‘80. Con la sua penna è da sempre impegnata in prima linea nella lotta contro la camorra. Oggi è in pensione, ma continua a collaborare con diverse testate giornalistiche, tra le quali “Fanpage” e “Domani”. Nel 2008 ha pubblicato il suo libro “L’oro della camorra”, edito da Rizzoli, che racconta di come i boss dei casalesi abbiano esteso il loro controllo in tutta Italia infettando il tessuto economico e sociale della penisola. Il 13 marzo 2008, durante il processo Spartacus è stata oggetto di minacce, insieme allo scrittore e giornalista Roberto Saviano, al magistrato Cafiero De Raho e al pubblico ministero della Dda (direzione distrettuale antimafia), Raffaele Cantone. Rilevata la gravità dei fatti lo Stato ha deciso di assegnarle la scorta e ancora oggi vive sotto protezione. Dal 2013 al 2018 ha fatto parte della Commissione parlamentare antimafia 

Come è iniziata la sua carriera di giornalista e come è diventata cronista antimafia? 

‹‹Ho cominciato a lavorare come giornalista 45 anni fa, nel 1980, con un contratto da praticante. Poi mi sono “fermata per strada” come tutti o, meglio, come tanti e ho fatto la precaria. Dal 2018 ho lavorato per la testata campana “Il Mattino”. Occuparmi di antimafia per me non è stata una scelta etica, ma è stato un percorso nato dal fatto che ho lavorato come cronista in Campania, un territorio di mafia e mi sono occupata quotidianamente di ciò che accadeva in questa regione, documentando in particolare i fatti che si verificavano a Caserta e provincia. Voi giovani non vi rendete conto forse di cosa significasse fare il nostro mestiere negli anni nei quali l’ho fatto io. Oggi se fai uno scoop sei un genio, ma allora c’era un lavoro di analisi delle informazioni, raccolta sul campo, lavoro meticoloso, giornaliero e si doveva essere fisicamente presenti quando accadeva qualcosa››. 

Lavorare come cronista nella sua Campania è stato più facile o più complicato per lei? 

‹‹Mi sono divertita tanto a fare la cronista, non ho mai avvertito che fosse più facile o più difficile farlo nonostante vivessi e lavorassi proprio qui. Ciò che è stato più importante per me, per fare bene il mio lavoro, è stata la mia presenza costante sul territorio, il vivere in prima persona e raccontare quotidianamente cosa accadeva››. 

Pensa che sia stato un suo lavoro specifico a portarla a vivere in questa condizione? 

‹‹No, non ritengo ci sia stato un mio lavoro più importante o più significativo di un altro che mi ha portata a vivere sotto protezione. Credo sia stato tutto l’insieme del mio lavoro quotidiano dedicato a documentare i fatti di camorra. In più di quarant’anni di carriera ho raccontato tutto quello che accadeva e accade in questo territorio, fra Caserta, la sua provincia e nel resto della Campania. Ho parlato degli omicidi, del traffico dei rifiuti, delle guerre di mafia, delle confische dei beni alle organizzazioni criminali, della scalata al potere di alcuni clan e anche di certi personaggi facendone i nomi. In tutta sincerità, i casi che mi sono rimasti più impressi nella mia carriera non sono nemmeno fatti di mafia. L’assegnazione della scorta si è resa necessaria per proteggermi dopo quanto accaduto durante il processo “Spartacus”, uno dei più importanti procedimenti giudiziari della storia, avviato tra il 13 e il 20 marzo 2008››. 

Ci spiega come ha avuto inizio il processo che dal 2008 la vede coinvolta come parte offesa? 

‹‹Il processo è nato in seguito alle dichiarazioni di un avvocato, Michele Santoanastaso, che a sua volta è imputato in un processo per mafia come camorrista e che il 13 marzo 2008 fece delle dichiarazioni durante l’appello del processo “Spartacus”. Le parole erano rivolte contro di me, lo scrittore e giornalista Roberto Saviano, il magistrato Cafiero De Raho, che allora era procuratore di Napoli, e il pubblico ministero della Dda, Raffaele Cantone. Oggi dovremmo essere alla fine del processo d’appello. Uso il condizionale proprio perché l’imputato non si fa mai trovare. La lunga durata del processo, dunque, ha tante ragioni: alcune procedurali, alcune tecniche ed altre basate sulla volontà dell’avvocato Santonastaso, che è difficilmente reperibile e non si fa raggiungere dagli avvisi di notifica››. 

Lo scorso gennaio 2025, al termine di una delle tante udienze, lei ha detto: “Voglio rinascere colpevole così avrò giustizia”. Che significa? 

‹‹Mi viene da sorridere perché non avevo detto proprio così, c’è una piccola sfumatura colorita, aggiunta da Roberto Saviano. Io ho detto che la prossima volta, se rinasco, nasco colpevole, così non mi succede nulla. Volevo lasciar intendere che se tu sei colpevole la fai sempre franca. Roberto l’ha modificata così e mi sta bene, il suo messaggio rende l’idea, la mia era una battuta spontanea, detta ironicamente e in seguito all’ennesimo rinvio››. 

Nella sua carriera si è occupata del clan dei Casalesi. Il recente pentimento di Sandokan (Francesco Schiavone), poteva segnare una svolta nella condizione attuale dell’organizzazione criminale? 

‹‹Sarebbe stata la fine completa del clan, non ci sarebbe stato più spazio per nessuno. Non è stato così. Si è visto subito che la sua era una collaborazione strumentale, nel senso che sarebbe servita solo a lui, non al resto del mondo. Non ha voluto o non ha potuto dare un contributo utile alle conoscenze investigative, che non sono poche. Negli anni ne sono state raccolte tante grazie al duro lavoro investigativo. Il tempo non passa invano, noi oggi degli affari del clan sappiamo quasi tutto, quindi un collaboratore, chiunque esso sia, o è in grado di dare qualcosa in più o non serve a nulla. Raccontarci l’ennesima versione di un omicidio sul quale sono già stati fatti i processi e ci sono le sentenze passate in giudicato è un’opinione, non un contributo rilevante. A mio avviso, non possiamo fare regali e dire: “Ok, ti sei pentito, va bene, bravo, adesso sei diventato bravo anche tu”. Non funziona, e non deve funzionare così la macchina della giustizia. È uno scambio, laicamente uno scambio. Non chiedo e non pretendo che ci sia un pentimento etico, però non accetto nemmeno le prese in giro. Questo è il mio punto di vista, la verità la conosce solo lui››. 

Ad oggi com’è la situazione in Campania rispetto alla presenza della camorra? 

‹‹In condizioni decisamente migliori di come l’ho trovata quando ho cominciato a fare questo mestiere, non ci sono dubbi. Anche perché adesso sappiamo quasi tutto e siamo nella condizione di intercettare prima i fenomeni mafiosi e riconoscerli. Agli inizi della mia carriera si doveva ancora arrivare a scoprire che esistesse il fenomeno stesso. Bisognava partire da molto lontano. Oggi non è più così. Non possiamo tuttavia affermare che i clan siano fermi perché sarebbe irrealistico. Purtroppo non esiste una formula per far sparire la mafia, non è possibile, né a Caserta, né a Napoli, né in Campania, né in Calabria, né in Sicilia, nemmeno a Milano, in Veneto o a Parigi. La criminalità organizzata c’è sempre stata e ci sarà sempre. Il problema è come e in che misura la società civile, si rapporta ad essa. Adesso si hanno tutti gli strumenti per riconoscerla, quindi si può decidere da che parte stare scegliendo, ad esempio, se fare affari con i mafiosi o non farli. Prima non era nemmeno detto che le persone avessero consapevolezza di cosa fosse la mafia››. 

Pensa che attualmente si parli abbastanza di antimafia? 

‹‹Sì, se ne parla abbastanza, ma il tema non è questo. Io penso che manchi la preparazione per fronteggiare le nuove armi delle mafie, delle organizzazioni criminali complesse, cioè organizzazioni mafiose che ad oggi fanno prevalentemente frodi a livello comunitario, truffe con le accise, gioco on-line, droga, cripto-valute. I mafiosi non vanno più a fare estorsioni porta a porta e quando ci vanno dopo due ore vengono arrestati. Ad oggi non è più quella l’emergenza, non è più quello il pericolo››. 

Vivere sotto scorta l’ha mai portata a pensare di smettere di fare il suo lavoro? 

‹‹No, assolutamente no, non ci ho mai pensato. Ho continuato nonostante le minacce ricevute e in epoche decisamente più complicate rispetto a quella attuale. Non è mai stato nei miei pensieri e non esiste che io smetta››. 

Pensa che ci sarà una fine alla sua vita sotto scorta? 

‹‹Per la verità, ormai ho smesso di pensarci. Quando decideranno di farmi tornare una persona libera tornerò ad esserlo. Non mi sono mai soffermata più di tanto su questo pensiero nel corso della mia vita e della mia carriera, né prima, né durante, né dopo. Questa è la mia condizione di vita, non è la mia vita››. 

C’è una frase che vorrebbe lasciare ai ragazzi di oggi che ci leggeranno? 

‹‹Studiate. Perché io vedo tanta ignoranza e incapacità di senso critico rispetto alle cose che succedono. La mia è una riflessione progressiva: si parte dai più piccoli e si va a salire, perché anche una persona di 35 anni è considerata giovane, pur essendo potenzialmente già padre o madre. Si è persa la capacità di analisi, di osservazione, di pensiero, di critica costruttiva verso ciò che si verifica intorno a noi in qualsiasi fascia d’età››.