Caivano, il Parco Verde e quell’anomala normalità delle case occupate

Caivano, il Parco Verde e quell’anomala normalità delle case occupate

“La vera mafia è lo Stato, non il Parco Verde”. È una delle tante scritte che campeggia sui muri nel quartiere di Caivano, nell’area metropolitana di Napoli, dopo lo sfratto di alcuni residenti. Nel febbraio 2024, infatti, la procura di Napoli Nord, dopo aver effettuato un censimento, ha individuato 252 abitazioni occupate e ha emanato tre decreti che il 28 novembre 2024 hanno dato il via agli sgomberi di 36 case, coinvolgendo 132 persone. Si tratta di «casi nei quali non è possibile che possa espletarsi con esito positivo la procedura di regolarizzazione – si legge nel comunicato della procura – sia per mancanza dei requisiti reddituali, che per l’esistenza di requisiti soggettivi ostativi», cioè per pregiudizi penali nei confronti degli occupanti. La procuratrice Maria Antonietta Troncone ha sottolineato in conferenza stampa come ad essere sgomberati sono stati quegli alloggi occupati da persone che riportano condanne fino a sette anni di carcere. Anche la presidente del consiglio Giorgia Meloni aveva commentato con soddisfazione la notizia dello sfratto: «Oggi è iniziata la fase 2 del programma di riqualificazione portato avanti negli ultimi 15 mesi», si legge in una nota di Palazzo Chigi. Lo sgombero fa parte della prima fase del cosiddetto Decreto Caivano, un piano per la bonifica del territorio voluto dal governo. Ma la vicenda delle case occupate è ben più articolata di quanto descritto all’inizio dalla procura e dalle istituzioni, e di come è stata riportata dai media. 

Come nasce Caivano 

Cerca di fare chiarezza Don Maurizio Patriciello, parroco di Parco Verde, diventato negli anni il simbolo della lotta alla mafia e allo spaccio e per questo sotto scorta dal 2022. È indispensabile ricostruire la storia di questo rione per comprenderne i problemi attuali. Patriciello dichiara: «Il nostro quartiere è nato dopo il terremoto dell’80. Gli alloggi erano stati assegnati a coloro che ne avevano diritto. Dopo, pian piano tante persone sono andate via a causa della mancanza di servizi, perché il parco era abbandonato a sé stesso e perché cominciava lo spaccio della droga». Coloro che hanno deciso di lasciare la propria abitazione, essendo assegnatari e non proprietari, avevano l’obbligo di riconsegnare le chiavi al Comune. Questo non è avvenuto: «Chi se n’è andato le ha cedute per amicizia o per parentela o anche per un piccolo contributo questa casa a un’altra persona» ha aggiunto il parroco.  

Don Maurizio Patriciello

Le ristrutturazioni fatiscenti e il paradosso della residenza 

Gli abitanti hanno ristrutturato questi palazzi costruiti con materiali fatiscenti. «Poi si è innescato un fenomeno ancora più strano. Coloro che sono subentrati hanno ottenuto la residenza dal comune e quindi si è creato un paradosso. Per cui queste persone si sono ritrovate a occupare una casa illegalmente e questo è andato avanti per 30 anni fino all’agosto 2023. Poi il 7 febbraio 2024 la procura di Napoli Nord ha fatto un’ingiunzione di sfratto di queste 252 famiglie e si è creato il finimondo. Ci sono state proteste, è intervenuto il prefetto e da febbraio si è trascinata la cosa fino al 28 novembre», ha specificato Patriciello. Secondo lui è improprio parlare di vere e proprie occupazioni: «Il caso del Parco Verde è un po’ più complesso. D’altronde gli appartamenti non erano stati neanche occupati, perché c’è stato un fenomeno molto strano che la dice lunga sulla trascuratezza dei legittimi proprietari e del comune». È ancora più difficile, dunque, parlare di racket delle case popolari da parte di clan mafiosi: «Se si intende che la mafia ha occupato o concesso alloggi, cacciando il legittimo proprietario, questo non è mai avvenuto. Anche le 36 famiglie che sono state mandate via non hanno mai occupato con prepotenza o con minacce, sarebbe del tutto ingiusto e sarebbe una non verità affermare ciò» ha detto Don Maurizio. 

Lo spaccio a Parco Verde 

Ci si chiede, però, se ci siano degli effettivi collegamenti tra le famiglie che risiedevano nella zona di Parco Verde e la gestione del traffico di droga: «Una cosa certa è che ci troviamo in una delle più grandi piazze di spaccio d’Europa, non è un segreto. Bastava farsi un giro per vederlo», è la testimonianza di Patriciello. Da un anno e mezzo sembra esserci stato un timido miglioramento: «Con l’arrivo del governo Meloni non dico che lo spaccio è stato eliminato completamente, ma è diminuito e sono diminuiti anche i tossicodipendenti che venivano a chiedere la loro dose di morte a tutte le ore del giorno e della notte. Poi c’è stato un incremento anche del numero di carabinieri e polizia», conclude il parroco. 

Il cortocircuito  

Insomma, quello che è successo a Caivano sembra essere più un cortocircuito amministrativo che una questione di racket mafioso. «Per un motivo o per un altro il comune ha chiuso un occhio e ai nuovi arrivati ha dato una regolare residenza. A un certo punto si è creato quello che io chiamo “un’anomala normalità”. Anomala perché le case erano occupate illegalmente, ma era diventato normale perché questa gente avendo avuto la residenza ha pagato regolarmente acqua, luce e gas, per 20/30 anni, ristrutturando intere abitazioni con i propri soldi». Adesso le persone che sono rimaste a vivere lì stanno cercando di regolarizzare la loro posizione pagando una piccola somma di denaro. A prescindere da come si evolverà la vicenda legale sul caso di Parco Verde, resta complicato distinguere fra le occupazioni abusive coordinate da soggetti mafiosi e quelle spontanee.  

I dati del fenomeno 

Anche solo quantificare il fenomeno non è facile. «Abbiamo un dato perché recentemente c’è stata una legge di sanatoria in Campania», spiega Antonio Giordano, segretario regionale del Sindacato Unitario Nazionale Inquilini e Assegnatari (Sunia), «in tutta la regione sono state 34 mila le domande di regolarizzazione, 20 mila solo nel napoletano». Negli anni si sono susseguite diverse sanatorie di questo tipo, come nel 1992, quando vennero regolarizzate 15 mila occupazioni abusive. Un fenomeno vasto e dalle varie ragioni, in cui «la criminalità organizzata esiste ai margini di questo», continua Giordano, «e si concentra in alcune aree di Napoli come Scampia o nella cintura di paesi a Nord». Anche per il segretario del Sunia il caso di Caivano nasconde una realtà meno oscura di quella raccontata a lungo dai media: «Ci sono dei procedimenti penali, ma non abbiamo prove di un pagamento a terzi per l’alloggio». La criminalità organizzata, però, ha un forte interesse ad essere presente lì dove i vicoli fra i palazzi grigi e fatiscenti creano angoli bui perfetti per lo spaccio, e dove la disoccupazione lascia poche alternative. «Alcune aree di edilizia popolare sono occupate militarmente dai clan, che destinano delle case ai loro affiliati, per creare una sorta di fortino», prosegue Antonio Giordano. 

Le tante Caivano: da Ostia a Bari 

Una pratica non solo camorristica, ma di tutte le mafie nelle zone periferiche delle grandi città italiane. Succede anche a Roma, con gli Spada ad Ostia e i Casamonica nei quartieri del quadrante sud est della Capitale. Il 4 ottobre 2018 un blitz delle forze dell’ordine ha sgomberato l’alloggio popolare occupato abusivamente da Vincenzo Spada, detto ‘Gnocco’, nel municipio del litorale romano. Mentre quanto emerso dalle operazioni ‘Gramigna’ e ‘Gramigna Bis’ del 2018 e 2019, e ‘Sub Urbe’, del 2016, ha ribadito l’esistenza di una speculazione illegale sugli alloggi popolari da parte delle due famiglie di origine sinti. Non solo per controllare il territorio, ma anche per ottenere fedeltà sfruttando la difficile situazione abitativa di molte persone. Casi simili ci sono anche a Bari. Nell’aprile 2024 la Regione Puglia e l’Arca Puglia, l’agenzia regionale per l’edilizia popolare, si sono costituite parte civile nel processo penale contro 34 persone per l’occupazione abusiva di venti sale condominiali nel quartiere San Paolo, trasformate in vere e proprie abitazioni. «Questi spazi sono il frutto di un ragionamento urbanistico degli anni Ottanta», spiega l’avvocato Piero De Nicolo, amministratore di Arca Puglia, «cioè dotare gli stabili di edilizia popolare anche di luoghi in cui socializzare, in cui i condomini potessero, ad esempio, festeggiare insieme il Capodanno». Un caso che non rientra nel conto di alloggi occupati: tra i 3500 e i 4000 su tutto il patrimonio di Arca Puglia, che è di 65 mila unità circa.  

Piero De Nicolo

La regia dei clan 

Una regia criminale dietro questo e altri casi che si concentrano nelle zone di San Paolo e Japigia, però, è stata, finora, solo ipotizzata dagli inquirenti. «Se abbiamo elementi oggettivi che ci indicano questa possibilità», ci dice Renato Nitti, Procuratore capo di Trani, «e che, quindi, testimoniano la presenza di un fenomeno mafioso, passiamo la palla alla direzione distrettuale antimafia. Vi posso dire che, quando ero in quell’ufficio a Bari, abbiamo riscontrato casi di questo tipo». Inoltre, «nella maggior parte dei casi», aggiunge De Nicolo, «ricorrono spesso i cognomi di persone che, come sappiamo dai giornali, appartengono ai soliti clan». Recentemente un particolare caso ha allertato le autorità: l’occupazione da parte della nipote del boss Eugenio Palermiti dell’alloggio prima abitato da un collaboratore di giustizia dello stesso clan, Filippo Cucumazzo, trasferito con la famiglia in una località protetta nel 2020. 

Il potere criminale  

Anche nel capoluogo pugliese la necessità di controllo del territorio spinge gli affiliati ai clan a restare nei quartieri di provenienza. «A San Paolo, se tu sei un membro del clan, devi viverci», prosegue l’amministratore di Arca. «Non puoi fare il pendolare, che vivi da un’altra parte e poi vai a “lavorare” a San Paolo. Allo stesso modo, devi esercitare la tua influenza all’interno del quartiere». Quello che spinge un boss o un membro di spicco della criminalità organizzata a occupare una casa popolare non è la scarsa disponibilità economica, ma la stessa conformazione dei quartieri di riferimento. «In un certo senso non hanno alternative. A San Paolo non ci sono case che non siano popolari, se ci fossero state ville le avrebbero comprate», continua De Nicolo. Da qui il forte contrasto fra l’arredamento interno e l’aspetto esteriore di molti appartamenti. «Quelli che riusciamo a liberare sono finemente arredate. In una ho trovato ben due vasche idromassaggio», continua De Nicolo. Sui social il marmo e l’oro all’interno di una casa popolare diventano un luogo comune, spesso ricoperto di antimeridionalismo, su cui ironizzare. Ma dietro il paradosso si nasconde un potere parallelo a quello della legge.