“Follow the money”. È questa la nuova regola per individuare la criminalità organizzata in Italia. Non più uomini armati che impongono il pizzo con la violenza, ma imprenditori, commercialisti e finanzieri che gestiscono capitali senza destare sospetti. Oggi la mafia si muove nei consigli di amministrazione, investe in società, si infiltra negli appalti pubblici e ricicla milioni senza bisogno di intimidazioni fisiche. La Lombardia è il luogo perfetto per questa metamorfosi.
L’abbassamento del livello di violenza non è un segnale di debolezza, ma una scelta strategica: meno clamore significa meno attenzione da parte dello Stato. Secondo il rapporto dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università di Milano, la presenza mafiosa in Lombardia è in crescita e assume forme sempre più sofisticate. Le province più colpite sono Milano, Brescia, Monza-Brianza, Como e Varese, dove la ‘ndrangheta ha creato strutture stabili e profondamente integrate nel tessuto economico.
La ‘ndrangheta è l’organizzazione che meglio ha saputo adattarsi a questo cambio di paradigma. I bunker sotterranei della Calabria sono stati sostituiti da uffici direzionali. Sedere nei consigli di amministrazione, vestire in giacca e cravatta, dialogare con imprenditori, politici o professionisti senza destare sospetti: questa è la nuova frontiera. La dottoressa Alessandra Dolci, procuratrice aggiunta e capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, ha dichiarato, in un’intervista all’Avvenire, che oggi la mafia non ha più bisogno di imporsi con la violenza e il sangue, poiché se la politica e l’imprenditoria accettano la sua presenza, il lavoro sporco è già stato fatto.
Una caratteristica interessante, ma ciò che incarna perfettamente il grado di infiltrazione nel sistema è il rapporto tra mafia e imprenditori: le mafie diventano partner di affari, fornendo liquidità, aggirando burocrazie e offrendo “servizi” a chi è in difficoltà finanziaria. Non si tratta più di un modus operandi che usa estorsioni e minacce, ma di una collaborazione consapevole per ottenere vantaggi economici, e risanare debiti. Secondo la dottoressa Dolci, su dieci imprenditori indagati per reati legati alla criminalità organizzata, otto risultano collusi e solo due sono vittime.
Le infiltrazioni mafiose non si limitano però alle imprese, ma colpiscono anche il mondo del lavoro e i sindacati. Enrico Vizza, segretario generale della Uil Lombardia, afferma che i settori più vulnerabili sono edilizia, logistica e trattamento dei rifiuti: «Molte inchieste hanno dimostrato che nei grandi appalti e nei bonus edilizi si sono insinuate situazioni poco genuine», spiega.
È il mondo dell’edilizia uno dei più esposti. Nel settore si registra una crescita di aziende che aprono e chiudono nel giro di pochi mesi, lasciando dietro di sé solo debiti. Molte di queste imprese sono delle “attività lavatrici”, scatole vuote utilizzate per evadere il fisco e riciclare denaro sporco. Lo stesso fenomeno è evidente nella logistica, dove le cooperative con infiltrazioni mafiose offrono servizi a prezzi stracciati grazie allo sfruttamento del lavoro nero.
Il sindacato, pur non avendo potere ispettivo, intercetta segnali di irregolarità soprattutto quando ha rappresentanti presenti nelle aziende. Tuttavia, molti lavoratori hanno paura di esporsi. «Quando riceviamo segnalazioni, scriviamo agli enti pubblici e alla procura, ma il problema principale è che spesso veniamo a conoscenza delle infiltrazioni troppo tardi».
Anche il settore della ristorazione è nel mirino della criminalità organizzata, ma la mancanza di sindacalizzazione rende difficile raccogliere prove e dati concreti: «Nella grande distribuzione possiamo monitorare la situazione, ma nei piccoli ristoranti con due o tre dipendenti il sindacato è quasi assente. Spesso i lavoratori ci contattano solo quando non vengono pagati per mesi».
Vizza sottolinea un altro problema che risiede alla base e rimane immutabile quando si parla di mafia: la paura. «Molti lavoratori ci dicono: “Io sono qui per lavorare, faccio il mio mestiere”. C’è un clima di omertà e rassegnazione che rende difficilissimo raccogliere segnalazioni concrete. Solo quando un’impresa viene coinvolta in un’inchiesta giudiziaria emergono dettagli che altrimenti sarebbero rimasti sommersi».
Se la mafia è riuscita a diventare parte integrante del sistema economico lombardo, la risposta non può limitarsi alle sole operazioni giudiziarie. Serve una mobilitazione collettiva, con imprenditori, sindacati, lavoratori e istituzioni che collaborino per rompere il silenzio e smantellare il sistema criminale che prospera indisturbato.
Un altro punto critico è il ruolo delle prefetture. «I protocolli di legalità devono essere rafforzati. Dobbiamo rendere obbligatoria la formazione sulle infiltrazioni mafiose nei corsi di sicurezza sul lavoro. Un lavoratore dovrebbe sapere se il suo titolare ha legami con la criminalità organizzata».
Il segretario solleva anche la necessità di un maggiore coordinamento tra sindacati e istituzioni. «Abbiamo bisogno di strumenti più incisivi. Denunciare non deve significare esporsi a ritorsioni o perdere il lavoro. Servono canali di segnalazione protetti, un rafforzamento dei controlli negli appalti e nelle piccole imprese. Solo così possiamo arginare il fenomeno».
Brescia: il laboratorio della mafia imprenditoriale
Brescia è tra le province più colpite dalla criminalità organizzata, classificandosi quinta in Italia, dopo Napoli, Roma, Milano e Caserta. Secondo la Cgia di Mestre, le mafie rappresentano la quarta industria del Paese, con un volume d’affari annuo di 40 miliardi di euro, pari a due punti di PIL. La provincia di Brescia è un nodo centrale di questa rete criminale, con oltre 4.000 aziende sono considerate a rischio infiltrazione. Le infiltrazioni mafiose nel Bresciano si concentrano in vari settori economici. Le attività illecite spaziano dal traffico di droga al riciclaggio di denaro, con un’attenzione particolare al settore turistico e della ristorazione.
Un territorio particolarmente esposto è il lago di Garda, da tempo diventato un obiettivo strategico per le infiltrazioni mafiose. L’operazione “Glicine-Acheronte”, coordinata dalla Dda di Catanzaro, ha rivelato come la ‘ndrangheta avesse investito in otto società operanti nei settori turistico, immobiliare e della ristorazione. Le attività coinvolte includevano un grande villaggio turistico tra Sirmione e Desenzano, una scuderia di cavalli e diverse imprese di costruzioni e immobiliari. Con un fatturato complessivo superiore ai 15 milioni di euro, queste aziende erano di fatto controllate da un imprenditore del Nord Italia accusato di collusione con clan della ‘ndrangheta radicati tra Crotone e Cutro.
L’organizzazione criminale ha dimostrato una notevole capacità di adattamento, investendo in appartamenti e strutture ricettive per inserirsi nel tessuto economico legale, mascherando così le operazioni illecite dietro una facciata di normalità. Questo rende ancora più difficile individuare e contrastare la sua presenza.
