Armi senza controllo, l’ombra delle mafie sulla guerra in Ucraina 

Armi senza controllo, l’ombra delle mafie sulla guerra in Ucraina 

Migliaia di armi sono partite verso l’Ucraina dopo l’invasione russa del febbraio 2022. Gli Stati Uniti e i Paesi europei hanno inviato fucili d’assalto, missili anticarro, mitragliatrici e munizioni di ogni tipo per sostenere la resistenza di Kiev. Un flusso costante e imponente che, però, manca di un reale sistema di tracciabilità. Dove si trovano oggi tutte queste armi? Sono ancora nelle mani dell’esercito ucraino o parte di esse ha già preso altre strade? I sequestri di armamenti in Europa continuano ad aumentare, segno che il mercato nero non si è mai fermato. Se e quanto questo sia collegato al conflitto in Ucraina è una delle domande che preoccupano le forze dell’ordine, mentre le mafie guardano già oltre la guerra, pronte a inserirsi nella futura ricostruzione. 

Un flusso senza controllo 

A Noi Antimafia, il procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri parla di un rischio evidente: «Nessuno si preoccupa di tracciare le armi che stiamo inviando all’Ucraina; nel mercato nero possono finire armi capaci di far saltare in aria un carro armato, e vanno al miglior acquirente, anche terroristi. E quando verrà il momento della ricostruzione, i mafiosi ucraini torneranno, insieme ai nostri, per banchettare». Non sarebbe la prima volta che la criminalità organizzata approfitta di un dopoguerra. Negli anni ’90 la ’ndrangheta acquistò un ingente quantitativo di armi provenienti dal conflitto in Jugoslavia: bazooka, esplosivi, kalashnikov. Oggi la storia rischia di ripetersi su scala ancora più ampia. 

Monitoraggio inesistente 

Uno degli aspetti più critici della fornitura di armamenti all’Ucraina è la mancanza di un monitoraggio dettagliato sulla loro destinazione finale. «Non abbiamo la tracciabilità di questi armamenti – avverte Gratteri – e non è stato pensato alcun sistema per geolocalizzarli. Finita la guerra, parte di queste armi potrebbe far gola alle mafie italiane». Il problema non è solo teorico. Nel 2017, un’operazione congiunta lungo il confine tra Ucraina e Moldova ha portato al sequestro di oltre 578 armi da fuoco e 776 munizioni, dimostrando la vulnerabilità della regione al traffico illecito di armi. Un segnale chiaro che il pericolo esisteva ben prima dell’invasione russa, ma che con la guerra potrebbe essersi amplificato. Già nel 2022, l’Europol aveva lanciato l’allarme sul rischio che le armi inviate all’Ucraina potessero finire sul mercato nero, alimentando circuiti clandestini gestiti da gruppi criminali organizzati. E più recentemente, nel febbraio 2025, il Servizio di Sicurezza dell’Ucraina ha arrestato quindici trafficanti che cercavano di vendere illegalmente armi provenienti dal fronte. Tra il materiale sequestrato c’erano esplosivi, granate militari, fucili d’assalto AK-12, fucili di precisione e mine anticarro. Al momento, i sequestri di armi in Italia sono costanti, ma non esistono prove certe che il materiale provenga dal conflitto ucraino. L’assenza di un sistema di tracciamento rende impossibile stabilire l’origine degli armamenti recuperati nelle operazioni delle forze dell’ordine. Tuttavia, il timore è che, con il passare del tempo, le scorte belliche si disperdano sempre di più nel mercato nero internazionale. 

Il ruolo delle mafie 

Le organizzazioni criminali non si limitano ad acquistare armi per il controllo del territorio, ma le usano anche come merce di scambio. «Gli arsenali costituiscono il “patrimonio” delle organizzazioni criminali – sottolinea una fonte della Direzione Nazionale Antimafia – strumenti per la violenza, ma anche dimostrazione di potenza e forza intimidatoria». Secondo gli investigatori, l’interesse delle mafie italiane ed europee non è solo per le armi in sé, ma per il potere che esse garantiscono. La possibilità di accedere a un mercato clandestino sempre più vasto significa rafforzare la propria influenza in diversi settori criminali, inclusi il narcotraffico e il racket. Ma l’affare più grande potrebbe essere un altro: la ricostruzione post-bellica. Secondo Gratteri, le mafie si stanno già preparando a inquinare i flussi economici che arriveranno in Ucraina una volta terminata la guerra: «al momento le mafie ucraine e i principali capi della criminalità non sono in Ucraina. Ora sono nei Paesi europei, pronti a rientrare per il momento della ricostruzione».  

Dalle pistole ai farmaci: il business della guerra 

Oltre al traffico d’armi, il conflitto ha aperto nuove opportunità per la criminalità organizzata. In Ucraina si sta già sviluppando un mercato nero di farmaci essenziali: insulina, antibiotici, medicinali per bloccare le emorragie. Le mafie russe e internazionali stanno guadagnando milioni sfruttando la carenza di prodotti sanitari, rivendendoli a prezzi esorbitanti ai disperati. Senza un monitoraggio adeguato, il rischio è che le armi fornite per difendere l’Ucraina diventino il prossimo grande affare delle organizzazioni mafiose. «Non avendo la tracciabilità, non sappiamo quante di queste armi vengono nascoste» conclude Gratteri. Un’incognita che potrebbe trasformare l’onda lunga della guerra in una minaccia persistente per la sicurezza europea. 

L’eredità dell’ex Jugoslavia 

Il primo aprile 1991 nella regione croata della Krajina, dove viveva una importante comunità di serbi, venne proclamata la nascita della Repubblica Serba di Krajina. Questa data è considerata da molti come l’inizio delle guerre dei Balcani, che insanguinarono il territorio della ex Jugoslavia per circa dieci anni. In quegli anni, il conflitto si trasformò in una grande occasione per la criminalità organizzata. Dopo la fine delle ostilità emerse il problema della gestione di una grande quantità di armi ancora in circolazione. Da subito gli stessi governi dei Paesi che uscivano dalla guerra cercarono di riprendere il controllo di queste armi, ma la popolazione ne restituì solo una piccola parte. La criminalità organizzata sfruttò la povertà delle persone per appropriarsi di fucili d’assalto, pistole e munizioni riversate sul mercato nero, specialmente a partire dalla crisi del 2008, quando molti furono costretti a cedere le armi in cambio di denaro. Così, negli anni 2000, si assistette a una diffusione costante degli armamenti utilizzati in Jugoslavia negli anni Novanta, con ripercussioni tuttora evidenti. 

Due fucili zastava m70 di fabbricazione serba

Il traffico illegale 

Secondo l’Europol, tutt’oggi la maggior parte delle armi illegali che circolano in Europa proviene dai Balcani e si tratta perlopiù di armi trattenute in modo irregolare dopo la fine dei conflitti più recenti. Questo flusso di armamenti è andato a riempire gli arsenali di diverse organizzazioni criminali, tra cui le mafie italiane, prima fra tutte la ‘ndrangheta, la più potente e internazionale. Basti pensare che nel 2022 i carabinieri hanno trovato tra le rocce dell’Aspromonte dei lanciarazzi di fabbricazione serba, mentre una pistola e un fucile sempre provenienti dai Balcani erano custoditi in una tenuta agricola in Puglia. Ma questo flusso di armamenti illegali ha rifornito anche alcune organizzazioni terroristiche: negli attacchi di Parigi del 2015, gli attentatori hanno fatto uso di fucili d’assalto di tipo AK-47, di cui molte varianti sono prodotte proprio nelle regioni dell’ex Jugoslavia. 

Via dai radar 

Una situazione simile rischia di ripresentarsi oggi con la guerra in Ucraina. Fino a oggi Kiev ha ricevuto in totale circa 130 miliardi di dollari in aiuti militari, tra cui alcune delle armi più sofisticate a disposizione degli Stati Uniti, come il missile anticarro portatile Javelin. Inoltre, l’esercito ucraino ha acquisito esperienza e ha cominciato a produrre da sé soprattutto droni. Questo grande flusso di armi desta preoccupazione soprattutto per la tracciabilità degli armamenti: secondo il Pentagono circa il 60% delle armi fornite all’Ucraina è sparito dai radar. Anche il segretario generale dell’Interpol Jürgen Stock, pochi mesi dopo lo scoppio del conflitto, aveva avvertito che le armi fornite all’esercito di Kiev sarebbero finite nell’economia sommersa controllata dalle organizzazioni criminali. 

Missile anticarro portatile Javelin

L’incremento 

Già dopo il primo conflitto in Donbass, iniziato nel 2014, si era osservato un incremento del traffico di armi dall’Ucraina: secondo un report del Flemish Peace Institute, il numero di sequestri al confine con la Polonia passato da 109 nel 2015 a 607 nel 2017. Con l’escalation del 2022, il rischio è esploso nuovamente. Molte armi entrano in Ucraina dalla frontiera polacca, dove vengono smistate e distribuite verso i territori del fronte. Una volta superato il confine però, di molti armamenti si perde traccia. La stessa ministra della Difesa ceca Jana Černochová, in una dichiarazione riportata dal Financial Times, ha ammesso che in queste condizioni evitare il contrabbando è difficile. Consapevole dell’importanza degli aiuti occidentali, il governo di Kiev sta compiendo un grande sforzo interno per evitare il traffico illegale. Alcune operazioni di polizia ucraine hanno scoperto depositi consistenti. A giugno 2024 è stata sequestrata una mitragliatrice antiaerea Zu-23-2 messa in vendita a soli 7.500 dollari, mentre a Leopoli, nell’agosto 2024, è stato smantellato un gruppo di trafficanti con un arsenale di 72 pistole, 20 fucili d’assalto, 29 granate e quasi 49.000 munizioni. La presenza di così tante pistole – armi piccole e facili da nascondere, molto ricercate dalla criminalità – vicino al confine polacco indica un potenziale tentativo di farle uscire dal Paese. 

L’occasione ghiotta 

Secondo un rapporto del Global Initiative against Transnational Organized Crime (GI-TOC), questa proliferazione di armi in Ucraina avviene finora in modo opportunistico e frammentato, ad opera di individui o piccoli gruppi, più che tramite grandi cartelli mafiosi. Tuttavia, con la fine del conflitto il rischio è che si sviluppi un traffico simile a quello partito dai Balcani a partire dai primi anni Duemila. La disponibilità diffusa di armamenti (anche sofisticati) costituisce un bacino di cui le mafie potrebbero approfittare, soprattutto in condizioni di difficoltà economica e sociale. Il Pil dell’Ucraina si è ridotto drasticamente dall’inizio della guerra e milioni di cittadini hanno abbandonato il Paese. La corruzione, già endemica prima del conflitto, è un altro fattore che potrebbe contribuire al passaggio delle armi sotto il controllo di organizzazioni criminali che vedono negli aiuti occidentali un’occasione da non perdere.