In Europa c’è una guerra in corso, ma non è quella in Ucraina. È lo scontro che vede da un lato il potere giudiziario e dall’altro la politica, sempre più insofferente nei confronti delle tante sentenze che mettono in discussione l’operato dei governi, come sostengono i numerosi partiti della destra europea. Non è solo quello che accade in Italia, ma la situazione è simile nell’Ungheria di Viktor Orbán e nella Francia di Marine Le Pen, dove la storica leader del partito di destra Rassemblement National è stata ritenuta ineleggibile dalla magistratura francese per appropriazione indebita di fondi pubblici europei.
Cosa sta accadendo davvero? Ma soprattutto: qual è il ruolo dell’informazione in un periodo di scontro così acceso, dove la confusione data in pasto ai cittadini regna sovrana? È stato questo il tema centrale dell’incontro di presentazione del libro “Prima lezione di giustizia penale” di Glauco Giostra, tenuta nella sala stampa “Caduti di Nassiriya” di Palazzo Madama a Roma il 4 aprile 2025. Al dibattito hanno partecipato Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia, e Donatella Stasio, giornalista ed ex portavoce della Corte costituzionale. Il quadro che è emerso è sconfortante.
La sfiducia nella magistratura
«Non è ora che la giustizia inizi a comunicare in modo non burocratico per contribuire a migliore conoscenza del cittadino?». È stata questa la domanda con cui Donatella Stasio ha dato il via al dibattito. E da subito ha messo al centro un grande problema: la scarsa fiducia degli italiani nella magistratura. Nel 2023 infatti, l’Istat ha rilevato un punteggio medio di fiducia nel sistema giudiziario pari a 4,9 su una scala da 0 a 10. «Il problema è la scarsa partecipazione democratica alla giustizia. Serve che l’organizzazione degli uffici giudiziari sia aperta alla conoscenza dei cittadini – ha dichiarato Giovanni Melillo – Questo perché nessuno riesce a comprendere le regole di un tribunale». Fondamentale quindi è il ruolo della comunicazione istituzionale, oltre che del giornalismo qualificato, messo in difficoltà dal mezzo che, per la maggioranza dei cittadini, è diventato il canale principale d’informazione: i social.
Il problema culturale
In un panorama così complesso, molta strada c’è ancora da fare anche all’interno della magistratura stessa, che spesso fa fatica a rendere conto del proprio lavoro. «C’è una gigantesca questione di formazione e cultura, visto che i magistrati hanno sempre rifiutato di comunicare perché non la ritengono una loro competenza» ha detto Stasio. «C’è un problema culturale che riguarda il potere giudiziario, che ancora non ritiene di non dover rendere conto di quello che fa» ha sottolineato Melillo, che però ha precisato: «Sono colpito del fatto che la giustizia è stata chiamata nel modo in cui informa, ma il giornalismo no. L’informazione fatta di allusioni e manipolazione è un problema, oltre che il mondo digitale, che rischia di fare saltare la mediazione giornalistica». Ancora una volta, i social e internet vengono messi sul banco degli imputati, colpevoli di aver imposto alla comunicazione la velocità al posto della qualità. Come ha raccontato il procuratore Melillo: «Molti giornalisti volevano da me una velina, non le carte dei processi, visto che non avevano il tempo di leggerle».
Il ddl Nordio
In un quadro così complesso però, tutto è stato peggiorato dagli scontri creati dal “decreto Nordio”, che ha portato novità significative nel rapporto tra informazione e potere giudiziario. La legge, entrata in vigore il 25 agosto 2024, ha come obiettivo quello di applicare la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, adottata il 9 marzo 2016, che punta a rafforzare il principio di presunzione di innocenza dell’imputato. «Il primo limite della legge è questo: si lascia la magistratura padrona di decidere cosa dire e come dirlo, potendo così omettere anche informazioni di interesse pubblico – ha spiegato Glauco Giostra – Avremo un sistema in cui l’autorità giudiziaria decide quando e come esercitare il diritto di cronaca, mentre è il giornalista che deve scegliere quali notizie pubblicare, prendendosene la responsabilità. Questo cambiamento mortificherà la libertà d’informazione e non favorirà la trasparenza». In più, ha aggiunto il professor Giostra: «La direttiva europea non dice che si può intervenire in questo senso, visto che parla della tutela dell’imputato fino alla fine del processo. Usare l’espressione “ce lo chiede l’Europa” è una forma di ipocrisia. Forse il capo dello Stato sarebbe dovuto intervenire visto questo fraintendimento».
Le conseguenze sull’informazione
Per Giostra le conseguenze di questi interventi sono chiare: «In questo modo si favorirà il giornalismo che vuole cercare lo “scoop” e molti saranno costretti a muoversi di nascosto con inquirenti e polizia per pubblicare una notizia. Se non vengono pubblicate buone informazioni non si aiuta la collettività, visto che il ruolo del cronista è quello di essere un mediatore culturale». «Il legislatore non è intervenuto dove avrebbe dovuto e viceversa. Invece di favorire il diritto del cronista di informarsi e di informare, qui avrebbe dovuto riconoscere che giornalista ha diritto ad avere copia degli atti – ha detto ancora il professore – Con il divieto di pubblicare le intercettazioni non utilizzate dal magistrato si possono aumentare i sospetti sui perché della scelta».
Il crollo del potere giudiziario come conseguenza geopolitica
Italia, Francia, Ungheria e non solo. I media internazionali riportano ogni giorno casi in cui molti paesi mettono in discussione il potere giudiziario e i suoi interpreti. Diverse le conseguenze di questo atteggiamento, in primo luogo un cambiamento epocale del modo in cui, fino ad ora, è stata concepita una democrazia. «L’erosione delle democrazie va di pari passo con l’abbattimento dell’ostacolo rappresentato dal magistrato – ha affermato Melillo – Questi processi sono innescati anche da fenomeni criminali, che hanno la capacità di destabilizzare la politica e il tessuto sociale di un paese, distruggendo la democrazia. Ci sono molti esempi in America centrale, America latina e Africa occidentale». Fermo è stato il parere di Giostra: «Non preoccupano tanto le polemiche sulle decisioni non gradite. Preoccupa l’addebito rivolto ai giudici di non seguire il volere degli elettori. Dire che non ha aiutato il paese è espressione incostituzionale. Il sospetto è che si abbia una visione di democrazia diversa». «Un popolo che non crede nella propria giustizia è quello che accetta il potere del più forte. È un male che attanaglia il paese che aspetta uomo della provvidenza. Quando si flette la giustizia verso il volere del popolo, la democrazia tracolla» ha concluso il professore con amarezza. Ma alla domanda di Donatella Stasio, che ha chiesto come poter fermare queste dinamiche che sembrano inarrestabili, nessuno ha risposto.
LINK DELLA PRESENTAZIONE: https://mab.to/t/64UVf9Ws7pm/eu1