Ohana e Adhd un corso per comprendere la neurodivergenza e promuovere l’inclusione   

Ohana e Adhd un corso per comprendere la neurodivergenza e promuovere l’inclusione   

Nel bar bistrot antimafia Ohana si è tenuto, tra gli innumerevoli corsi di formazione, quello su “Come gestire e comunicare con dipendenti con neurodivergenze e disturbi legati al periodo storico”.  È stato un incontro diverso dagli altri, dove non sono state insegnate solo competenze tecniche, ma anche strumenti per comprendere l’altro. È uno dei moduli del progetto Management Antimafia, percorso formativo promosso dall’associazione #Noi per preparare giovani alla gestione etica e inclusiva dei beni confiscati alla criminalità organizzata. A fare chiarezza su un tema poco arato è stato Giuseppe Grossi, psicologo e membro dell’equipe dell’età evolutiva della scuola APC/SPC (Associazione di Psicologia Cognitiva e Scuola di Psicoterapia Cognitiva) 

Cos’è l’Adhd 

L’Adhd, ovvero il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, è un disturbo neuropsichiatrico dello sviluppo, innato e in larga parte genetico. Dal punto di vista biologico, comporta un funzionamento alterato della dopamina, il neurotrasmettitore coinvolto nella motivazione e nell’autocontrollo. Grossi ha spiegato con chiarezza che: «L’Adhd non è un’etichetta, è un modo diverso di percepire il mondo. I sintomi – attenzione fluttuante, impulsività, iperattività, disregolazione emotiva – sono solamente la punta dell’iceberg». Il disturbo, ha sottolineato, si presenta in modi diversi: iperattività fisica, agitazione mentale, disorganizzazione, difficoltà nel filtrare gli stimoli. «C’è chi si perde nei pensieri, chi non riesce a stare fermo, chi maschera tutto a costo di sfinirsi» ha aggiunto il terapeuta. 

L’azienda come spazio di comprensione 

Come lavorare con un dipendente neurodivergente? «Non si tratta di pretendere l’impossibile, né di essere condiscendenti – ha affermato Grossi – ma di creare un ambiente organizzato, flessibile, empatico e soprattutto non giudicare ciò che non si vede». Tante le indicazioni date ai futuri manager: definire obiettivi e scadenze con chiarezza, suddividere i compiti in passaggi semplici, utilizzare strumenti visivi (calendari, elenchi, reminder), mantenere un dialogo empatico e costante. «Un feedback continuo, una comunicazione rispettosa, una flessibilità che non rinuncia all’efficienza: ecco la base per un ambiente di lavoro sano», sostiene il dottor Grossi. Il tutto, ricordando che l’ADHD non è visibile e chi ne soffre, spesso, lo nasconde. Grossi  ha aggiunto: «Sul curriculum non si può scrivere di avere l’ADHD. Ma nasconderlo, a volte, porta a esplosioni, burnout, frustrazione. La produttività vera nasce dal benessere». 

Disturbi invisibili e società impreparata 

Durante il corso si è parlato anche di “disprassia”, un disturbo che influisce sulla capacità di pianificare ed eseguire movimenti volontari. È stato anche introdotto il concetto provocatorio e necessario di “criminalità disattentiva”, ovvero comportamenti impulsivi e devianti compiuti da persone che non hanno consapevolezza del proprio disturbo. In aula, i ragazzi di Ohana hanno ascoltato, fatto domande e preso appunti. Il progetto Management Antimafia è diventato anche questo: palestra di cittadinanza, scuola di inclusione, un’occasione di crescita collettiva. Ohana non è solo un bistrot ma è un laboratorio vivo, dove anche un semplice pomeriggio può trasformarsi in un’opportunità per crescere insieme. Dove il silenzio – per una volta – non significa distrazione, ma attenzione. Verso gli altri, e verso sé stessi. 

Disagio e abbandono scolastico 

La mancanza di attenzione verso questa condizione può generare un profondo disagio, favorendo fenomeni come l’abbandono scolastico, l’uso di sostanze stupefacenti e comportamenti antisociali (tra cui il bullismo), avvicinando i ragazzi a varie forme di illegalità. “Può capitare che una persona con Adhd possa perdere continuamente il proprio lavoro, ed è a quel punto che si può cadere nel gioco d’azzardo, nello spaccio di droga e in altre attività criminali. Bisogna comprendere il disagio che si prova e adottare delle strategie per gestire al meglio la quotidianità” ha spiegato Grossi. L’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) conferma che a livello internazionale la percentuale di detenuti affetti da Adhd varia tra il 25% e il 45%. In Italia gli studi sono pochi, ma uno in particolare – condotto dalla psicologa e ricercatrice Irene Strada presso il carcere di Bollate (Milano) – ha rilevato che il 23,7% dei detenuti presenta sintomi riconducibili al disturbo. 

Diagnosi, ritardi e numeri sottostimati 

“Si stima che le persone con un disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività siano il 5% della popolazione scolastica e il 3% di quella adulta, ma in Italia le diagnosi effettuate sono lontanissime da queste cifre, secondo il Dsm (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, ndr)” ha spiegato ancora il terapeuta. Molti sono i fattori che spiegano questi numeri allarmanti. Lo psicologo, infatti, ha chiarito: “Da una parte ci sono pochi psichiatri esperti di Adhd e quei pochi sono sovraccarichi di pazienti, dall’altra pochi psicologi sono preparati per fare una diagnosi accurata, che arriva solo nel momento in cui c’è un impatto significativo in almeno due ambiti tra scuola, lavoro e vita sociale”. Sempre più frequente è invece il ricorso a coach, che elaborano strategie e metodi per poter gestire le difficoltà di tutti i giorni. “Non basta fare dei corsi per gestire l’Adhd – ha sottolineato Grossi– Bisognerebbe rivalutare il ruolo del pedagogista, che ha competenze tali da poter riconoscere le difficoltà dei ragazzi senza giudicarli o emarginarli”. A ostacolare ulteriormente il processo diagnostico è la famiglia: «Spesso non si riconosce il problema, altre volte si fatica ad accettare che l’Adhd, oltre ad avere una componente genetica, è fortemente influenzato dall’ambiente. C’è infatti un collegamento tra stili genitoriali negativi e un peggioramento dei sintomi di un paziente con Adhd» ha detto Grossi. 

Le colpe delle istituzioni 

Ma le difficoltà che si incontrano lungo il cammino sono molte di più. Oltre alla carenza di specialisti, Grossi evidenzia altri problemi: «Pediatri e medici di famiglia, che spesso sono i primi a incontrare bambini con sospetto di Adhd, hanno ancora poche competenze su questo disturbo. Per di più, gli psicologi che escono dalle università soffrono la carenza di programmi di formazione post laurea che trattano il tema». In una situazione così complessa, le istituzioni non sono d’aiuto. «A livello normativo, in Italia non esistono linee guida nazionali per la diagnosi e il trattamento dell’Adhd. Solo alcune regioni le hanno introdotte, ma la maggior parte del territorio nazionale rimane scoperto – ha sottolineato Grossi – Tutto questo rappresenta un problema perché rende ancora più difficile fare diagnosi e intervenire tempestivamente». Ma un ruolo importante su tutto questo lo hanno anche le contrarietà ideologiche, che ostacolano, anche da parte delle istituzioni, l’adozione di linee guida tanto necessarie. 

Il ruolo delle associazioni 

Le associazioni di pazienti e familiari, come il Coordinamento Nazionale di Organizzazioni Adhd Italia, svolgono un ruolo fondamentale nel sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulle esigenze di chi convive con questa condizione, promuovendo la ricerca, la formazione e la diffusione di linee guida aggiornate. Altre realtà associative sul territorio offrono supporto, informazione e servizi dedicati alle famiglie e agli adulti con ADHD, costituendo una rete di solidarietà che colma le lacune lasciate dalle istituzioni e promuove un cambiamento culturale e normativo più adeguato.