L’incontro col cronista del mensile #Noi Antimafia si è svolto all’interno della torrefazione Fratelli Milano, dove i ragazzi che hanno aderito al progetto Management Antimafia dell’associazione #Noi hanno alternato formazione teorica a un laboratorio pratico per imparare a fare espresso e cappuccini. Un’esperienza immersiva per scoprire che qualità artigianale, passione e presenza sul territorio sono le armi con cui questa realtà romana resiste ai tentativi di infiltrazione mafiosa e alla concorrenza sleale nel mondo dell’“oro nero”.
Formazione antimafia: impegno civile in ogni chicco di caffè
Nella torrefazione Fratelli Milano in via Enrico Ortolani numero 80 ad Acilia (Roma), tra l’aroma del caffè appena tostato e l’attenzione dei giovani apprendisti del locale Ohana, Alessandro Milano racconta gli esordi nel laboratorio del X Municipio: «Ho iniziato senza capitali, solo con la voglia di riscatto e un sacco di caffè da vendere». Ma è proprio qui che Alessandro e la sua squadra decidono di scommettere su un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria: fare impresa in modo sano e legale. Nasce così, nel 2019, Fratelli Milano. Una piccola realtà che cresce fino a diventare una delle torrefazioni più premiate d’Italia. Alessandro e i suoi collaboratori – tra cui il fratello, da cui il nome dell’azienda – studiano il caffè come fosse una scienza e un’arte: viaggi nelle piantagioni, selezione di varietà pregiate, filiera tracciabile. La qualità, però, non si ferma alla materia prima: Alessandro affina l’arte della tostatura con meticolosa precisione. I risultati non tardano: premi locali e nazionali, menzioni in guide gastronomiche, successi nei concorsi di degustazione. Ogni riconoscimento che arriva è la prova che un’impresa pulita, fondata su eccellenza e legalità può diventare un modello.


L’oro nero e la mafia
Ma il successo, si sa, ha un prezzo. Alessandro, parlando con #Noi Antimafia, denuncia un nemico subdolo: la mafia economica, le cui mani invisibili non risparmiano il mercato del caffè. «Il caffè è oro nero, fa gola a qualsiasi tipo di realtà››. Tra le strategie più usate, denuncia Milano, c’è l’articolo 1803 del codice civile, ovvero il comodato d’uso gratuito. Tale concetto tecnico all’apparenza innocuo, spiega Alessandro Milano, definisce il comodato come ‹‹Il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è essenzialmente gratuito.›› Nella pratica, però, le cose vanno diversamente. ‹‹Dietro la parola ‘gratuito’ si nascondono spesso clausole che legano mani e piedi gli esercenti››, sottolinea Milano, riferendosi ai contratti capestro che molti bar sottoscrivono con i grandi distributori.
Il comodato d’uso
Il sistema del comodato d’uso nel caffè funziona così: la torrefazione fornisce al bar non solo i chicchi di caffè, ma anche la macchina espresso, il macinacaffè, le tazzine e perfino elementi d’arredo – il tutto a condizioni apparentemente vantaggiose. ‹‹Ti offrono la macchina in prestito e un pacchetto chiavi in mano per la caffetteria, e a prima vista sembra un affare››, continua Milano. Ma l’idillio è solo apparente. In cambio di quelle dotazioni “gratuite”, il bar si impegna ad acquistare esclusivamente il caffè del fornitore per un periodo di tempo stabilito, spesso a prezzi poco competitivi e con penali salate in caso di rescissione anticipata del contratto. Di fatto, l’esercente perde la libertà di scelta e rimane vincolato: ‹‹Il paradosso è che quel comodato, nato come strumento gratuito, diventa una catena per chi lo accetta››, sottolinea Milano. Il contratto di comodato d’uso gratuito viene piegato in una sorta di do ut des occulto: la fornitura “gratuita” dell’attrezzatura viene compensata con la fedeltà forzata agli acquisti di caffè. Ne consegue un abbassamento della qualità dato che molti bar, vincolati al fornitore, rinunciano a cercare miscele migliori.
Un mercato concentrato e le pratiche sleali dei giganti
Le conseguenze si riflettono sull’intero ecosistema del caffè. ‹‹Le piccole torrefazioni artigianali finiscono ai margini>>, osserva Milano, evidenziando la disparità di risorse. I colossi del caffè – alcuni forti di fatturati miliardari – hanno negli anni consolidato la propria presenza in migliaia di bar tramite politiche aggressive di fornitura. Queste pratiche sbilanciano la concorrenza: invece di competere sulla qualità del prodotto, ci si contende il mercato a colpi di sconti sugli equipaggiamenti e forniture in esclusiva. Una conseguenza indiretta è la standardizzazione del gusto e la riduzione della biodiversità di caffè disponibili al consumatore. ‹‹Stiamo allevando generazioni di consumatori che non sanno cosa sia un espresso di qualità artigianale, perché ovunque vanno trovano sempre lo stesso caffè, frutto di accordi commerciali e non di merito››, denuncia Milano.
L’indagine Coffee Break
Le parole di Alessandro Milano non rimangono isolate. La denuncia, infatti, trova riscontro in diverse inchieste giudiziarie. In Sicilia, un’indagine del 2019 a Palermo ha portato all’arresto di 32 affiliati accusati di aver imposto a tappeto la propria marca di caffè a decine di bar, pasticcerie e ristoranti. Dai dialoghi intercettati emerge chiaramente l’ordine del clan Porta Nuova: “Per il caffè non prendere impegni con altri”, un modo velato per intimare ai gestori di locali di comprare solo dal fornitore legato alla mafia. Nello stesso periodo, tra Palermo e Milano, un’operazione denominata “Coffee Break” ha svelato un asse criminale inedito: la storica famiglia mafiosa Fontana reinvestiva i proventi illeciti aprendo imprese di torrefazione e distribuzione di caffè. I clan, dunque, non si limitano a taglieggiare i commercianti, ma diventano essi stessi imprenditori: creano ditte di copertura, rilevano bar e ristoranti, infiltrano l’economia legale con capitali sporchi. In questo modo costruiscono veri e propri monopoli territoriali, difficili da scalfire. ‹‹È un sistema ramificato›› commenta Milano.
Lo Stato in eterno ritardo
Dinanzi a uno scenario tanto complesso, il ruolo delle istituzioni appare spesso marginale. «Finché non succede qualcosa di eclatante, tutto viene ignorato. Si fanno grandi discorsi sulla legalità, ma sul territorio siamo lasciati soli» sottolinea Alessandro Milano. Le piccole imprese, intanto, arrancano. E anche quando si registrano successi investigativi o sequestri giudiziari, questi arrivano troppo tardi per molte realtà virtuose. «Quando parte un’operazione antimafia è sicuramente una vittoria, ma spesso avviene dopo che un’azienda pulita ha già chiuso, e decine di lavoratori hanno perso il posto», denuncia. Il riferimento è ai fondi antiracket e agli strumenti di tutela previsti dalla legge n. 44/1999, pensati per sostenere le vittime di usura e di estorsione. Ma l’accesso a questi strumenti resta complesso, burocratico e spesso sconosciuto alle piccole imprese che, nel frattempo, soccombono. Fratelli Milano, come molte altre realtà sane, non chiede assistenzialismo. Chiede presenza. Esige una rete istituzionale solida che supporti chi rifiuta compromessi, chi punta sulla qualità e sulla legalità. E che vigili su chi usa il denaro per soffocare la concorrenza.
Qualità, formazione e presenza: la strategia per resistere
La filosofia di Alessandro si fonda su tre pilastri: qualità del prodotto, formazione professionale e presenza costante sul territorio. «In questi vent’anni di esperienza lavorativa nel settore, ho capito che il 99% dei proprietari dei bar non conoscono davvero il caffè. Ne riconosce solo il nome commerciale, ignorando del tutto la provenienza, la lavorazione e le caratteristiche organolettiche. E questa ignoranza fa comodo a molti», racconta Milano. Il caffè, spiega, è un frutto. Come si valuta un frutto in base alla freschezza, così si dovrebbe valutare una miscela in base alla sua qualità e non al marchio. «Se formiamo gli operatori, questi sapranno scegliere e vendere un prodotto migliore. Così le attività non saranno più ricattabili e non avranno bisogno di iniezioni esterne». Durante i corsi organizzati con la 9Bar Academy, i ragazzi imparano a tostare, servire e riconoscere le differenze tra miscele, ma soprattutto apprendono la cultura del lavoro onesto. «Mostriamo loro che si può aprire un’attività senza dover passare per scorciatoie o compromessi». Accanto alla formazione, la presenza. Alessandro visita personalmente i locali, dialoga con i clienti, costruisce una rete di relazioni autentiche. Fratelli Milano partecipa a fiere, eventi, e sostiene progetti come il Management Antimafia. È, di fatto, una torrefazione “di trincea”.
L’ultimo miglio: giovani, legalità e futuro del caffè
Quando l’incontro nella torrefazione si conclude, tra i giovani presenti rimane una consapevolezza nuova. Quegli stessi ragazzi, futuri lavoratori del locale Ohana, apprenderanno presto sul campo che la legalità si esercita anche dietro a un bancone. La testimonianza di Alessandro Milano è per loro un esempio tangibile: si può fare impresa senza cedere a logiche distorte, si può offrire un caffè che sappia davvero di libertà. «Il caffè è diventato un business milionario. Non si tratta più di estorsione classica, ma di strategie raffinate che soffocano le piccole realtà». Un’ultima riflessione: «Così si esclude chi lavora con onestà. Il pesce grande mangia il pesce piccolo. Ma noi siamo ancora qui, con le spalle dritte. E non intendiamo piegarci». E forse è proprio questo il messaggio più forte della torrefazione Fratelli Milano: che la vera rivoluzione, oggi, è servire un caffè onesto.

