Fake news, un pericolo per l’informazione e la democrazia 

Fake news, un pericolo per l’informazione e la democrazia 

Disinformazione, fake news, contenuti creati con l’intelligenza artificiale che ogni giorno ingannano milioni di utenti. Sono questi i problemi che nel XXI secolo stanno colpendo la libertà d’informazione, almeno per come è stata concepita fino ad ora. In un mondo in cui le nuove tecnologie rendono il lavoro dei criminali digitali più facile, sempre maggiori competenze vengono richieste ai giornalisti, che devono essere pronti a proteggere il lettore da minacce di cui non conosce neanche l’esistenza. In un contesto così complesso, risuonano profetiche le parole che Umberto Eco pronunciò nel 2015, quando gli fu conferita la laurea ad honorem in Comunicazione dall’Università di Torino: «Il grande problema della scuola oggi è insegnare ai ragazzi come filtrare le informazioni di Internet». 

Il monitoraggio 

Facile, veloce ed economico. Bastano tre aggettivi per descrivere il successo dell’uso dell’intelligenza artificiale da parte dei disinformatori sul web, che ogni giorno producono immagini false e fake news con una facilità mai vista prima. Il fenomeno ha raggiunto dimensioni enormi, tanto da spingere vari paesi a monitorare una situazione sempre più complessa. Una delle principali realtà presenti in Italia è l’Italian digital media observatory (Idmo), un progetto finanziato dalla Commissione Europea che ha il compito non solo di combattere la disinformazione, ma anche di promuovere l’alfabetizzazione digitale. Sono anche molti gli enti europei che lavorano nel settore, tra cui il Servizio europeo per l’azione esterna, un organo diplomatico che si occupa di politica e sicurezza comune. La sua attività principale è quella di scovare le “Foreign information manipulation and interference”, ovvero le informazioni deliberatamente manipolate da paesi ostili, che hanno l’obiettivo di influenzare l’opinione pubblica degli stati nemici. In un mondo sempre più interconnesso, in cui i problemi e le criticità della rete non hanno confini, spicca il ruolo di News Guard, un team di analisti e ricercatori che ogni giorno lavora per proteggere gli utenti dalla minaccia della manipolazione online. 

News Guard, tra fact checking e prebunkink 

«La maggior parte della nostra attenzione è rivolta a un’attività complementare al fact checking, cioè il “prebunking” – ha detto Sara Badilini, giornalista e analista di News Guard – il fact checking verifica una singola informazione, mentre il prebunking agisce alla radice, analizzando l’attendibilità di una fonte tramite dei criteri apolitici, per poi assegnare un punteggio». Il gruppo, fondato nel 2018 negli Stati Uniti, ha individuato fake news sui vari temi che hanno interessato l’opinione pubblica negli ultimi anni: dalla pandemia alla guerra in Ucraina, dalle elezioni alle olimpiadi. «Durante il covid ci sono state notizie che rappresentavano in modo falso o fuorviante le conclusioni di studi scientifici, quindi bisognava andare alla fonte, leggere le carte e intervistare anche degli esperti quando si parlava di questioni tecniche. Ogni smentita ovviamente ha bisogno di più fonti» ha continuato l’analista. Il sistema per gestire un flusso così grande di notizie è rigoroso, e mette al centro un lungo lavoro di redazione. Balidili ha spiegato infatti che «Ci sono molte fasi nel processo di editing. C’è chi analizza la notizia in prima battuta, poi ci sono un paio di editor che verificano quello che si scrive». 

Le proporzioni del problema 

Disinformare può voler dire anche colpire un paese. È quello che è successo in Francia, dove secondo i dati raccolti da News Guard, tra il dicembre 2024 e il marzo 2025 è stata vittima di un’operazione di influenza russa chiamata “Storm-1516”. Sono stati ben 38.877 i post circolati sui social contenenti affermazioni false, raggiungendo 55,8 milioni di visualizzazioni. Simile è il caso che ha interessato anche la Germania, dove in vista delle elezioni del febbraio 2025, sono stati creati 102 siti generati con l’intelligenza artificiale, che sembrando degli affidabili siti di informazione locale potevano trarre in inganno gli utenti. Non è migliore la situazione italiana, dove nel solo mese di marzo l’Idmo ha riportato che le fake news nel mese di marzo riguardanti la guerra in Ucraina rappresentano il 16% del totale, mentre a febbraio erano solo l’8,2%. In aumento anche le fake news sull’Unione Europea, che sono passate dall’essere il 2% a gennaio 2025 al 15% del marzo 2025. «Nel monitoraggio della disinformazione, abbiamo notato che i temi messi al centro tendono ad essere simili tra i vari paesi, soprattutto tra quelli europei – ha detto Badilini – Negli ultimi due anni abbiamo trovato molti siti che generati autonomamente dall’ai (le chiamiamo “content farm”), ed è fenomeno riscontato indistintamente ovunque. 

Il problema della libertà d’informazione 

Nonostante il lavoro di fact checking abbia come obiettivo quello di assicurare un’informazione libera da interferenze e falsità, molti continuano a mettere in discussioni il metodo. «Spesso veniamo accusati di censura, ma è un ossimoro. Queste attività puntano a fornire più informazioni, con una competenza alla base che ogni giornalista dovrebbe avere. Persino Meta (il colosso che controlla Facebook, Instagram e Whatsapp, ndr) non censura i contenuti, ma dà semplicemente un’avvertenza al lettore – ha sottolineato Badilini – Le nostre schede informative sono come i cataloghi dei libri nelle biblioteche, perché danno un contesto ed è un elemento chiave della libertà d’informazione, visto che si dà davvero la possibilità di leggere quello che si vuole». «Abbiamo testato i primi 10 chatbot sul mercato, dando 300 consegne ogni mese basate su trenta narrazioni false che avevamo già smentito su varie tematiche (come propaganda russa, salute ed elezioni) per capire quanto propensi fossero a disinformazione – ha continuato l’analista – Il risultato è stato preoccupante: che tra luglio e dicembre 2024 i tassi medi di non risposta sono stato tra 20 e 30 per cento, mentre i tassi medi di disinformazione erano tra il 18 e il 40 per cento. I tassi di errore vanno dal 38 al 62 per cento».