«Stamattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale. Non ci sarà alcun comizio e non ci saranno più altre trasmissioni. Peppino non c’è più, è morto, si è suicidato. No, non sorprendetevi perché le cose sono andate veramente così. Lo dicono i carabinieri, il magistrato lo dice. Dice che hanno trovato un biglietto: “Voglio abbandonare la politica e la vita”. Ecco questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione. E lui per abbandonare la politica e la vita che cosa fa: se ne va alla ferrovia, comincia a sbattersi la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e salta in aria sui binari. Suicidio. Come l’anarchico Pinelli che vola dalle finestre della questura di Milano oppure come l’editore Feltrinelli che salta in aria sui tralicci dell’Enel. Tutti suicidi. Questo leggerete domani sui giornali, questo vedrete alla televisione. Anzi non leggerete proprio niente, perché domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante. Il ritrovamento a Roma dell’onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse. E questa è una notizia che naturalmente fa impallidire tutto il resto. Per cui chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia, ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato». Sono le parole di Salvo Vitale, nato a Cinisi il 16 agosto del 1943 e morto a Particino (Palermo) il 19 agosto 2025, pronunciate per bocca di Claudio Gioè nell’iconico film “I cento passi”, che al lavoro e al coraggio di Vitale deve la sua stessa esistenza.
Un tributo a Impastato
Il lavoro di Marco Tullio Giordana e degli sceneggiatori Claudio Fava e Monica Zappelli si basa infatti su un suo libro “Nel cuore dei coralli”, edito da Rubattino. Piuttosto che una biografia, il libro è un tributo concreto alla militanza di Peppino Impastato, il trentenne militante comunista ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978. Salvo Vitale, dopo la laurea in filosofia all’Università di Palermo e un’esperienza come corrispondente del quotidiano L’Ora, fondò Radio Aut, la radio libera che denunciava il potere mafioso di “Mafiopoli” e i soprusi di Gaetano Badalamenti, detto “Tano Seduto”, capomafia con cui lo stesso Impastato era imparentato e che ne ordinò la morte.
Diffondere le sue parole
Nel loro giornale di controinformazione radiodiffuso, così lo avevano chiamato, innanzitutto denunciavano, come poi Vitale continuerà a fare collaborando con “Telejato” e portando la sua storia e parlando di antimafia nelle scuole, su giornali e riviste. Peppino Impastato lo faceva, dalla radio, con lo stesso umorismo e la stessa sprezzante schiettezza con la quale a Vitale toccherà poi annunciarne l’omicidio e denunciare, da subito, i depistaggi che lo hanno circondato. Come insegnante di storia e filosofia al liceo, fino al 2023, Vitale ha mantenuto viva la voce di Impastato, portandola anche alle famiglie e ai coetanei dei giovani siciliani. Luisa Impastato, nipote di Peppino, ha ricordato con gratitudine, perché “le sue sono state tra quelle che mi hanno permesso di sentire Peppino vicino”.
Una risposta rumorosa
Oggi questa storia è conosciuta da un pubblico ampio, e la stanza di quel giovane uomo, piena di libri e dischi di De André, è diventata un luogo simbolico per chi vuole avvicinarsi alla sua vicenda. Questo risultato si deve all’impegno costante di molte persone, a cominciare dalla madre di Peppino, Felicia. Tra loro, Salvo Vitale occupa un posto di rilievo: il suo lavoro ha dato parole, immagini e suoni per raccontare la storia di Impastato, come dimostra la celebre canzone I cento passi dei Modena City Ramblers. Una risposta rumorosa, come lo stesso Vitale aveva, da subito stimolato a fare, con il tono polemico che, nel 1992, avrebbe trovato una eco nello scorato “è finito tutto” con cui il capo del pool antimafia Antonino Caponnetto usciva, piegato nello spirito, dalle macerie di via d’Amelio.
Dal letame nascono i fiori
Vitale, sempre per voce dell’attore, sembra essere altrettanto rassegnato, quando dice: “Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, voltatevi pure dall’altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che non aveva Peppino. Domani ci saranno i funerali. Voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace. Noi siamo la mafia. E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso, tu sei stato un ingenuo, sei stato un nuddu miscato cu niente». Eppure, come dal letame (la mafia, urlava Peppino da Radio Aut, è una montagna di merda) nascono i fiori di chi non si volta dall’altra parte, da questa apparente disillusione risuona, invece, una chiamata alla responsabilità. Raccolta, negli anni, a Palermo, in Sicilia e molto oltre. E parole che – come per tutte le vittime dell’antimafia, camminano con le gambe di chi resta. Come quelle di Salvo Vitale.

