È stata un’estate rovente per la mala romana. Nella loro proliferazione lungo lo stivale, le mafie hanno incontrato nella Capitale, ormai da anni, un terreno fertile per le attività criminali: dai tempi della Banda della Magliana ai nostri giorni, Roma è stata il centro di riciclaggio, oltre che avamposto di diversi clan di camorra e ‘ndrangheta, ed è così che si riconferma. A scoperchiare il vaso di Pandora sul sottosuolo capitolino, una maxi operazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) coordinata dalla Dda di Roma, che in piena estate ha portato a 18 arresti e al sequestro di oltre 130 milioni di euro nei confronti di 57 indagati.
Figli d’arte, il mestiere ereditato dai padri
Il panorama della malavita romana sembra essere in continuità con i fantasmi del suo passato. Tra gli individui finiti in manette, infatti, compaiono anche Antonio Nicoletti e Vincenzo Senese, rispettivamente figli dell’ex storico componente della Banda della Magliana Enrico Nicoletti e del boss Michele Senese. Diverse le accuse mosse dagli inquirenti nei confronti degli indagati, presunti responsabili di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata, oltre che a commettere reati di estorsione e usura, a costruire una rete di riciclaggio attraverso il ricorso a società fittizie, in modo tale da reimpiegare i proventi illeciti in nuove attività economiche. Ad aggravare il quadro, l’inserimento di queste operazioni in un (anti)sistema più ampio, volto ad agevolare i clan camorristi Mazzarella/D’Amico e le cosche della ‘ndrangheta Mancuso e Mazzaferro, oltre che il clan Senese.
Dalle società fittizie ai contatti con l’estrema destra romana
È cominciato tutto nel 2018, quando il Centro operativo di Roma della Dia e la Dda con il procuratore aggiunto Ilaria Calò hanno iniziato a raccogliere dati su due associazioni a delinquere attive nella Capitale. Con una strategia di sommersione, queste riciclavano somme importanti, incanalate poi in attività imprenditoriali apparentemente pulite legate a diversi settori, dalla cinematografia all’edilizia, dalla logistica al commercio di auto, oltre a quello degli idrocarburi, in cui si saldano gli interessi delle mafie storiche e delle nuove. Proprio questo campo, infatti, dà una misura della continuità tra passato e presente della malavita romana, dato che tra gli indiziati compaiono anche Domitilla Strina, la figlia di Lady Petrolio, e Roberto Macori, estremista di destra e vecchio amico di Massimo Carminati. In generale, le associazioni a delinquere hanno dato vita a una rete di società fittizie per emettere false fatturazioni: un processo in cui è stato determinante il supporto di imprenditori e liberi professionisti.
Antonio Nicoletti e le società cinematografiche
Le attività investigative hanno preso le mosse dagli indizi legati al primo nucleo malavitoso. Accusati di essere a capo di quest’ultimo, Antonio Nicoletti e Pasquale Lombardi, oltre a Salvatore e Umberto D’Amico e Umberto Luongo, esponenti del clan camorrista D’Amico/Mazzarella. Ed era proprio il denaro proveniente dalle organizzazioni campane – a quanto ricostruito dagli investigatori – ad essere riciclato tramite un sistema di società “cartiere” intestate a prestanome, tra cui ben tre di natura cinematografica. Infatti, nel corso delle indagini sono emerse le figure del produttore cinematografico Daniele Muscariello, secondo la Dia fiduciario degli stessi clan, e del manager musicale Angelo Calculli. Accanto a questi ultimi, è stato arrestato anche l’ex calciatore Giorgio Bresciani.
Mafie vecchie e nuove, il settore “sempreverde” degli idrocarburi
Dai tempi d’oro di Lady Petrolio, l’imprenditrice romana Anna Bettozzi, il commercio illecito degli idrocarburi ha costantemente attirato l’attenzione della mala, diventando uno spazio di convergenza tra la nuova e la vecchia guardia. Così, l’indagine della Dia ha acceso i riflettori sulla centralità del settore degli idrocarburi nell’ambito di una seconda associazione a delinquere, rispetto alla quale sono gravemente indiziati in qualità di capi e promotori Vincenzo Senese, il figlio di Michele, Roberto Macori, che oltre a essere legato all’estrema destra romana è affiliato, secondo il gip, ai clan calabresi Mancuso e Morabito, e lo stesso Salvatore D’Amico. Anche qui, l’organizzazione avrebbe costruito una struttura di società fittizie finanziate dai clan campani e calabresi attraverso cui acquisire il controllo di depositi fiscali di idrocarburi, funzionali alle attività di riciclaggio.
Una scia di violenza unisce le due associazioni
La questione va oltre il riciclaggio. Le figure accusate di muovere le fila dell’organizzazione sono infatti indagate anche per crimini violenti, dall’estorsione all’usura, commissionati per far funzionare la macchina malavitosa. Tanto per regolare partite di dare e avere, quanto per legare a sé imprenditori, indispensabili per il riciclaggio, il linguaggio delle due associazioni è stato quello della violenza, passata attraverso la forza di intimidazione messa in campo in virtù degli stretti legami con i grandi clan mafiosi, ma non solo. Altra accusa presentata, infatti, è quella relativa al traffico di armi, di cui le organizzazioni quindi disponevano con facilità.
Roma Capitale della malavita
La vicenda romana ha aggiunto un altro tassello nel quadro della criminalità organizzata in Italia e nel Lazio. La scoperta delle due associazioni ha infatti acceso i riflettori sul ruolo criminale della Capitale, vero e proprio centro di riciclaggio in cui si saldano mafie locali e i clan del Sud. Ma i risultati dell’operazione vanno inseriti in un panorama circostante che è punteggiato da “campi minati” in quanto a malavita. Tra questi, Anzio e Nettuno, sul litorale romano, dove l’Operazione Tritone ha portato allo scoperto le attività del clan Gallace/Madaffari e i legami con le cosche della ‘ndrangheta nel 2022, lo stesso anno in cui le giunte di entrambi i comuni sono state sciolte per infiltrazioni mafiose.
Ma ben più recente è lo scioglimento del comune di Aprilia, in provincia di Latina, per le stesse ragioni: un fatto che ha portato anche all’arresto del sindaco Lanfranco Principi, e solo qualche giorno prima della maxi operazione della Dia a Roma. Un quadro in costruzione insomma, tra violenza e corruzione, in cui Roma ha un ruolo cardine. D’altra parte lo dicevano gli stessi Umberto Luongo, del clan D’Amico/Mazzarella, e Salvatore Pezzella, altro protagonista del riciclaggio nel 2019, in un’intercettazione riportata da Fanpage. “Questa non è Napoli – dicevano – dove se uno parla con le guardie è un infame. Questa è una capitale. Ci sono le guardie, c’è il ministero, c’è l’onorevole, il vescovo. Ci sono i politici, tutti corrotti”.