Interviste sotto scorta, Federica Angeli e la mafia che nessuno chiamava mafia

Interviste sotto scorta, Federica Angeli e la mafia che nessuno chiamava mafia

‘Ho chiamato mafia quello che nessuno, nemmeno i tribunali romani, aveva mai osato chiamare così”. Federica Angeli, cronista romana classe 1975, nasce e cresce ad Ostia, scrive da più di vent’anni di cronaca nera e giudiziaria per La Repubblica. Ha svolto numerose inchieste, documentando la malavita ostiense e romana, in particolare con il suo lavoro ha contribuito a sgominare il clan Spada, per questo dal 2013 vive sotto scorta. Autrice di numerosi libri e saggi, tra i quali: ”A mano disarmata” edito da Baldini e Castoldi, autobiografia dalla quale nel 2019 è stato tratto l’omonimo film. Pubblica con la stessa casa editrice: ”Il gioco di Lollo” nel 2019 ,”40 secondi. Willy Monteiro Duarte” nel 2022 e ”Gli orrori della caserma Levante” nel 2023. Dal 2016 è Ufficiale della Repubblica Italiana al Merito, riconoscimento assegnatole dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per il suo impegno nella lotta alla mafia.

Come è iniziata la tua carriera di giornalista?
Inizia quasi per caso. Nel 1996 ero stata esclusa da un lavoro come hostess di terra per gli aeroporti di Roma, impiego che avrei scelto solo per mantenermi negli studi. Non risultai idonea a causa dei miei ”lineamenti irregolari”, motivazione che potremmo definire opinabile. Ci rimasi malissimo. Scelsi allora di fare il lavoro che avrei sempre voluto fare, il mio sogno da quando avevo 16 anni, ovvero, la giornalista.

Come arrivi ad occuparti di giornalismo antimafia?
Mi avvicino al giornalismo d’inchiesta antimafia attraverso la cronaca nera e giudiziaria.
Il mio primo articolo sul clan ostiense dei Fasciani è datato 1998. A Ostia non si parlava ancora di mafia ma si respirava già un clima mafioso. Ricordo che nei pezzi di contorno all’arresto di Fasciani, veniva descritto, dalle persone che intervistavo, come ”boss”, anche se venne condannato per traffico di stupefacenti perché l’accusa per associazione mafiosa a suo carico arriverà nel 2013. La mia prima vera inchiesta contro la criminalità organizzata romana è del 2013. Dopo due anni di lavoro come infiltrata nei clan ostiensi, attraverso il mio lavoro d’indagine e di denuncia, per la prima volta, ho scoperto una nuova compagine malavitosa autoctona. Ho iniziato la ricostruzione dell’attività dei clan partendo dai ”roghi” che si verificavano negli stabilimenti balneari di Ostia e si ripetevano puntualmente ogni estate. Sono arrivata a raccontare come questi avessero fatto un salto di qualità, diventando qualcosa di più strutturato, con la complicità dei politici corrotti del territorio. Gli imprenditori locali e i commercianti erano tenuti sotto ricatto, anche attraverso la richiesta del ”pizzo”, fenomeno totalmente nuovo per la mafia romana, non aveva precedenti, nemmeno la banda della Magliana lo aveva mai fatto. Io ho chiamato tutto questo mafia.

Quali sono i nomi dei clan che hai chiamato ”mafia”?
Le famiglie sono: i Fasciani, clan egemone su Ostia nel 2013, originari di Capistrello, paese in provincia dell’Aquila e gli Spada, di origine sinti, imparentati con i più noti Casamonica. Gli Spada stavano cercando di prendere il potere, prima erano manovalanza al servizio dei Fasciani, poi si sono distinti, emancipati, hanno iniziato ad avere le loro entrate economiche attraverso il controllo degli stabilimenti balneari, che sono l’oro di Ostia, infiltrandosi così nel tessuto economico e sociale della cittadina.

Quando inizia la tua vita sotto scorta e perché ti è stata assegnata?
La protezione mi è stata data il 17 luglio 2013. Tre giorni prima dell’uscita della mia inchiesta pubblicata appunto il 20 luglio 2013. A seguito del combinato disposto di due episodi: il primo, una denuncia, fatta da me, a maggio 2013. Quel giorno chiesi conto a Armando Spada di come avesse ottenuto un lido sul litorale ostiense, sapendo ovviamente che lo aveva ottenuto in maniera illegale, corrompendo un funzionario pubblico, non di certo partecipando ad un bando regolare, lui mi sequestrò chiudendomi in una stanza. Il secondo si verifica appena un mese dopo, quando assisto ad un tentato duplice omicidio dal balcone di casa mia, riconoscendo i protagonisti della sparatoria, che erano i due boss dei clan Spada e clan Triassi, quest’ultima famiglia cercava di imporsi nel territorio ma era più debole, non ne aveva le forze. Nel giro di sei ore, quella notte, dopo aver testimoniato, sono finita sotto scorta. Preciso che il riconoscimento di ”mafia” per questo clan si avrà solo nel 2024, quindi molto tempo dopo, perché l’iter e la lentezza della giustizia hanno portato ad un bollo da parte della magistratura solo 11 anni dopo la mia inchiesta. Gli arresti dei Fasciani, per associazione di stampo mafioso, sono avvenuti nell’estate 2013, quelli degli Spada il 25 gennaio 2018. Le sentenze in Cassazione per i Fasciani sono arrivate nel 2022.

Cosa accade il giorno del tuo sequestro?
Io e due operatori di ”Repubblica” stavamo facendo un’inchiesta nello stabilimento balneare Orsa Maggiore, a Ostia. Eravamo andati ad intervistare gli Spada, con la telecamera a vista, non dicendo che stavamo registrando, essendo in un luogo pubblico non dovevamo dare spiegazioni. Armando Spada e i suoi si accorgono del led rosso della telecamera acceso, capiscono che avevamo registrato quello che ci eravamo detti. A quel punto, quasi di peso, vengo portata al primo piano, mentre i ragazzi che erano con me, restano al piano terra. Mi ritrovo in una stanza con Spada e un altro individuo per 18 lunghissimi minuti. Quel momento mi è sembrato infinito, tant’è che nella prima denuncia, dichiaro di essere rimasta rinchiusa per 2 ore, poi ricostruendo il minutaggio della telecamera, si è visto che il totale era decisamente inferiore, ma quando si ha paura il tempo si dilata. I due mi minacciano perché vogliono che gli consegniamo, non tanto il filmato, ma l’intera telecamera, come se per loro fosse una sorta di ”corpo del reato”. Sono stati attimi bruttissimi, ho temuto per la mia vita, ma di fronte alla scelta di tacere, seguendo i consigli di Spada, che mi intimava di lasciare perdere e occuparmi di altro, oppure andare avanti, ha prevalso quest’ultima.

Hai ricevuto altre minacce dopo questo episodio?
Sì molte, le prime sono arrivate dopo il novembre 2014, in seguito a questa inchiesta specifica e agli arresti, non ancora per 416 bis, ma per corruzione e concussione, aggravati dall’articolo 7, che è appunto il metodo mafioso. A dicembre 2014 ricevo un bruttissimo avvertimento, alle 16,30 del pomeriggio, mentre ero in casa con i miei figli, hanno gettato benzina sul pianerottolo che è arrivata fino dentro casa. Negli anni sono seguite aperte minacce via social, in particolare dall’account Facebook di Roberto Spada, venuto alla ribalta delle cronache per la ”testata” al cronista Davide Piervincenzi. Spada mi scrisse che il loro oggetto non ero più io ma i miei figli, quindi una minaccia diretta ai miei 3 bambini. Nel 2018, viene recapitata alla redazione de ”Il Fatto Quotidiano”, una busta contenente dei proiettili, per sbaglio la mandarono al loro giornale, ma era indirizzata a me, con tanto di nome scritto sopra. Hanno scattato fotografie fuori dalla scuola dei miei figli, chiaro segnale che li stavano controllando, poi insulti sotto al balcone di casa a qualsiasi ora del giorno e della notte. Sono stati anni difficili. Ora facendo gli scongiuri dovuti, sono almeno 3 anni che non ricevo minacce dirette, se non sguardi in tralice, nei supermercati o nelle strade, rivolti a me, dai familiari degli appartenenti ai clan che sono rimasti fuori dal carcere.

Hai trovato sostegno in qualche collega in questa tua situazione?
Di facciata tante persone, tanti politici. Di sostanza veramente poche. Io e la mia famiglia abbiamo passato anni di grande solitudine, che ci hanno rafforzati, ma non sono stati facili.

Dopo quello che è accaduto hai continuato a fare inchieste sulla mafia a Ostia?
Sulla mafia a Ostia no. Dal mio giornale mi sollevarono dall’incarico. Dopo un periodo di stallo, di fermo, ho ripreso a raccontare le mafie di altri quartieri, abbracciando tutto il raccordo criminale romano. Nel 2018, dopo gli arresti degli Spada, sono tornata a fotografare anche il sistema malavitoso a Ostia.

Oggi il clan Spada è ancora attivo nel territorio ostiense?
Il clan è decisamente al tappeto. I boss sono in carcere al 41 bis, condannati definitivamente, con sentenza passata in giudicato e chi è fuori non ha la caratura per fare il capo. Tanto più che, la testata data da Roberto Spada a Davide Piervincenzi, ha disincentivato gli altri clan dal fare affari con loro. Possiamo quindi dire che gli Spada sono inattivi, ma non affermare che ad oggi a Ostia non ci sia più la mafia, perché da qualche tempo è arrivata la ‘ndrangheta. Purtroppo è un territorio che fa molta gola, confido nell’attenzione delle forze dell’ordine, come è stato per il clan Spada, anche per questo nuovo arrivo.

Di antimafia si parla abbastanza oggi?
Decisamente no, se ne parla poco, sia giornalisticamente che politicamente, non sentiamo mai parlare di mafia in maniera seria, nemmeno in campagna elettorale. Non esiste più una lotta generale, unita e severa contro la mafia, se non nelle procure attraverso le indagini. Solo quando accadono fatti clamorosi dove è impossibile tacere si sentono delle dichiarazioni. Giornalisticamente si è molto appiattito il racconto dell’antimafia, tanto che, i pochi che ne parlano o ne hanno parlato, vivono sotto protezione. Lo trovo assurdo, se fossimo in tanti a parlarne, sarebbe l’ideale e non correremmo più il pericolo di essere bersagli. Ecco perché, a questo proposito, vorrei dire che sono veramente contenta del fatto che l’associazione #Noi Antimafia, abbia aperto un mensile che si occupa di inchieste che pongono l’attenzione unicamente su questo tema.

Come nasce l’associazione #Noi Antimafia?
Questa associazione è nata in sostegno a me. Io sono, spero degnamente, presidente onorario, vi osservo da lontano, da fuori. Mi piacciono molto la vicinanza e la solidarietà che date ai vari giornalisti. Trovo bello che, pur partendo dalla mia figura, l’impegno sociale dell’associazione si sia esteso a tutti. Ho apprezzato molto l’idea di creare un giornale e formare i giornalisti. Sono molto fiera di partecipare ai corsi di formazione come docente, chiamata dal presidente dell’associazione, impegnandomi al vostro fianco, ma anche di vedere che siete in grado di volare da soli, come dimostrano i risultati che avete ottenuto, non solo come ufficio stampa ma anche attraverso le iniziative dell’associazione che leggo dal vostro sito.

Fai parte dei 22 giornalisti che vivono sotto scorta per minacce mafiose, qual è la tua opinione rispetto alla vostra condizione?
Ritengo sia un fatto molto grave e una particolarità tutta italiana. Il bisogno di proteggere chi fa semplicemente il proprio mestiere, raccontando ciò che succede, nasconde secondo me un’incapacità dello Stato di affrontare diversamente il problema. Dico sempre che se lo Stato si mettesse in testa di giocare in attacco sarebbe vincente. Il problema è che manca di strategie e di volontà a mio avviso. Assegnarci la scorta è sempre un gioco in difesa, si dovrebbe assicurare alla giustizia chi è colpevole, possibilmente in tempi più celeri. Credo nel gioco squadra, non voglio demandare tutto allo Stato, ma sicuramente è una situazione sui generis. È gravissimo che noi veniamo privati della nostra libertà semplicemente perché scriviamo e documentiamo i fatti che accadono intorno a noi. Non dovrei dirlo io, come giornalista, come stanno le cose in un territorio. Evidentemente chi è intervenuto prima di noi, con gli strumenti di forza, che solo uno Stato possiede, non ha agito al meglio.

Da madre e da donna come cambia fare questo mestiere vivendo sotto protezione?
Il fatto di essere mamma e donna, sicuramente, a livello sociale, ha rallentato molto la credibilità rispetto alla presa di coscienza che la mafia romana esistesse e fosse al pari di altre mafie. Sono dell’idea che se fosse stato un uomo a raccontare le mie stesse cose, probabilmente, nell’opinione pubblica, ci sarebbe stata una risposta immediata, gli avrebbero creduto subito. Nel mio caso, molti dicevano che mi ero solo spaventata e avevo sopravvalutato le cose, fortunatamente la procura mi ha dato ragione. Fare questo mestiere e vivere sotto protezione con dei bambini non è stato e non è affatto facile. I miei 3 figli sono stati gli unici minori in Europa ad aver avuto l’assegnazione della scorta per 5 anni, dal novembre 2018 fino al 2023. Banalmente le difficoltà le ho incontrate anche solo nel poterli accompagnare a scuola. Le macchine blindate, omologate per tante persone, non esistevano prima che io finissi in questa condizione, dunque è stata una lotta nella lotta, che ho dovuto fare, per poter continuare a fare la madre, pur vivendo in condizione di vita sotto scorta.

Nel tuo libro: ”Il gioco di Lollo”, parli di come tu e tuo marito avete spiegato ai vostri figli quello che vi stava accadendo, mi racconti cosa avete inventato?
Quando tutto è iniziato erano piccolini, siamo riusciti a raccontare quello che ci stava capitando come un gioco, una favola. Sulla falsariga de ”La vita è bella” di Roberto Benigni, abbiamo raccontato ai nostri bambini che la mamma aveva fatto un’inchiesta talmente bella, che per premiarla, il giornale le aveva dato degli autisti. All’età di 8, 6 e 4 anni, era inimmaginabile spiegare loro che qualcuno volesse fare male alla mamma, poi sono diventati grandi e hanno capito tante cose. In quegli anni siamo andati avanti così: quando succedevano cose brutte, scrivevo degli articoli o accadevano cose belle, segnavamo delle crocette su un tabellone, alla fine le croci accumulate, ci avrebbero portati a vincere il premio finale: una villa, come il carro armato nel film. Ad oggi la villa non è arrivata, ma sicuramente abbiamo avuto tante altre soddisfazioni. Girando molto nelle scuole, portando questo mio testo nelle classi, come esempio per spiegare che tutto è possibile, vorrei lasciare proprio questo messaggio, ovvero, che anche con un sorriso, ad ogni età, si può sconfiggere la criminalità. I malavitosi si nutrono di cattiveria, di mugugni e di rabbia, quindi anche un bambino, continuando a sorridere e a credere nelle cose belle, anche se la vita gli si è stravolta, può sicuramente dare uno schiaffo, simbolico, metaforico alla mafia e a suo modo sconfiggerla.

Federica Angeli