Un volto irriconoscibile, un orecchio mozzato, la maglietta ricoperta di sangue. Così appariva il cadavere di Pier Paolo Pasolini esattamente cinquant’anni fa, il 2 novembre 1975, quando fu ritrovato sulle spiagge dell’Idroscalo, a Ostia (Roma). Da quel giorno, l’intellettuale italiano più controverso del Novecento sarà al centro di uno dei tanti misteri italiani, destinati a rimanere tali per sempre. Dubbi, complotti e fantasie hanno dominato la narrazione su quanto accaduto quella notte. Nel mezzo di tanta confusione, #Noi Antimafia ha cercato di fare chiarezza grazie al contributo di Lucia Visca, cronista che per prima arrivò sul luogo del delitto, potendo vedere ciò che gli altri non hanno avuto il tempo di osservare.
Una confessione assurda
Al centro di questa storia oscura c’è un uomo, all’epoca dei fatti un giovane diciassettenne: Pino Pelosi. La sera del 1° novembre 1975, il ragazzo è salito sull’Alfa Romeo Giulia GT 2000 di Pasolini, i due si sono fermati in un ristorante del quartiere Trastevere di Roma e poi hanno proseguito verso le spiagge della Capitale, proprio dove il noto poeta perderà la vita. Quella stessa notte Pelosi è stato fermato dalla polizia mentre era alla guida dell’auto di Pasolini e proprio in quel momento ha fornito la sua prima versione dei fatti. Ammette di essere stato lui ad uccidere l’uomo, in risposta a una tentata violenza sessuale che lo ha portato a perdere il controllo di sé. Ma la sua confessione appare subito ambigua e piena di lacune. Come confermato infatti dalla sentenza del 1976, che lo ha condannato a nove anni, sette mesi e dieci giorni di carcere, il colpevole ha agito “in concorso con altre persone ignote”. È solo l’inizio di un mistero lungo cinquant’anni.
La “pista Fallaci”
Fu proprio Oriana Fallaci, giornalista del settimanale “L’Europeo”, che con una sua inchiesta ha messo da subito in discussione le parole di Pelosi. Quel ragazzo non poteva aver agito da solo e per questo, grazie alla testimonianza di una sua fonte, è riuscita a scoprire qualcosa di nuovo: una moto, con due uomini a bordo, avevano inseguito la Giulia di Pasolini, gli stessi che hanno partecipato a quel brutale omicidio, insieme a Pelosi. Per di più, la giornalista ha introdotto un’altra tesi scomoda per l’epoca: le armi repertate dalla polizia non erano state quelle effettivamente utilizzate dai killer.
L’errore
«Oriana Fallaci scrisse cose giuste, confermate poi dalla sentenza – ha detto Lucia Visca – cioè che non era possibile che un ragazzino gracile come Pelosi potesse ridurre in quel modo un uomo robusto come Pasolini». La cronista però ha aggiunto: «Fallaci fece l’errore che un giornalista romano non avrebbe mai fatto: si è fidata di Mario Pignani, un ragazzo marginale, un mitomane. Raccontò che nelle baracche dell’Idroscalo erano nascoste delle ville lussuose, ma sono stata mandata proprio io dal mio direttore a confutare quella notizia».
Chiudere il caso in fretta
Nonostante le tante evidenti incongruenze, le dichiarazioni di Pelosi vennero subito prese per buone dagli inquirenti. L’obiettivo era chiaro: chiudere il caso al più presto. Sul perché di tanta fretta, Visca non ha dubbi: «In primo luogo, la polizia non aveva strumenti sofisticati per le indagini. Per di più, Pasolini era dichiaratamente omosessuale e accettare la versione di Pelosi, rimasto reo confesso fino alla morte, serviva anche a non aprire un dibattito sul tema». A pesare sulle indagini però rimangono anche le scomode idee politiche di Pasolini, che nel corso della sua vita aveva avuto scontri non solo con la destra, ma anche con la sinistra, la forza politica alla quale si sentiva più vicino. «È andata così anche per le sue posizioni politiche, cosa che forse potrebbe accadere anche oggi» ha sottolineato Visca.
Pelosi, un personaggio ambiguo
A distanza di anni, l’ipotesi della Fallaci è diventata un’evidenza. La conferma definitiva è arrivata solo nel 2005 dallo stesso Pelosi, che in una puntata del programma “Chi l’ha visto?” ha dichiarato di non aver agito da solo. Nonostante questo, l’uomo rimane una figura ambigua, soprattutto per via dei dettagli sul caso che nel tempo ha fornito in maniera confusa. Su questo, Lucia Visca ha una tesi chiara: «Le rivelazioni di Pelosi venivano fatte quando aveva bisogno di soldi».
Vendersi al miglior offerente
«Lo schema era semplice: una volta emersi nuovi dettagli sulla vicenda di Pasolini, la procura di Roma riapriva le indagini e qualche direttore commissionava un’intervista Pelosi – ha tuonato Visca – Allora lui aveva imparato a vendere un’intervista al miglior offerente». Tante parole, ma pochi fatti. Il reo confesso non ha mai ritrattato le sue posizioni di fronte a un giudice. «Ha dato qualche informazione decontestualizzata a qualche giornalista, ma se avesse voluto davvero far venire a galla la verità avrebbe potuto parlare durante gli interrogatori» conclude Visca.
Il movente
Tra le tante teorie, che Visca non esita a definire “fantasie”, ce ne sono due che, secondo la giornalista, rimangono le più plausibili: «Non si può avere paura di dirlo: una pista potrebbe essere la pedofilia di Pasolini. Lui aveva toccato il figlio di uno dei capi delle paranze romane e potrebbe essere stata organizzata una spedizione punitiva contro di lui. Pelosi sarebbe stato solo un ragazzino ricattabile da usare come esca». Ma oltre a questa ipotesi, ne emerge un’altra altrettanto inquietante: «Pasolini stava lavorando a un questionario con il Fgc (Fronte della gioventù comunista, ndr) per dimostrare che l’eroina stava arrivando nelle scuole tramite un patto criminale tra fascisti e malavita, un sodalizio che nel 1978 darà vita alla banda della Magliana».
La morte della verità
Secondo Visca, l’intento principale non sarebbe stato quello di uccidere Pasolini, ma quello di dare un avvertimento. Lo dimostrerebbe la perizia medica di Faustino Durante, medico legale che ha dimostrato come Pasolini sia morto per esplosione del cuore, causata dall’investimento del Pelosi. «Io ho visto i segni degli pneumatici sulla schiena di Pasolini, altri no perché sono arrivati dopo» ha sottolineato la cronista, che in ultima battuta ha voluto ricordare quanto la verità sul caso Pasolini sia solo un miraggio: «Tutto questo è materiale per gli storici ormai, visto che sono morti tutti, anche gli avvocati. A questo delitto mancano mandanti e movente, che sono le essenze giuridiche per chiarire un caso. Se ci fossero dei mandanti, oggi sarebbero morti, oppure sarebbero talmente vecchi da non poter dare nessun tipo di contributo».

in via dell’Idroscalo
