È il 23 giugno 2024 quando a Pescara Cristopher Thomas Luciani, 16 anni è stato trucidato con 25 coltellate da due coetanei per qualche decina di euro. A Bologna il 4 settembre 2024 Fallou Sal, 16 anni, è stato ucciso da un ragazzo della sua stessa età durante una rissa mentre cercava di difendere un amico. Il 19 settembre 2024 a Viadana, nel mantovano, un diciassettenne ha tolto la vita ad una donna di 42 anni conosciuta online perché “volevo scoprire cosa si prova ad uccidere”. Siamo al “Bahia beach” di Molfetta la notte tra il 21 e il 22 settembre 2024 quando un proiettile ammazza Antonia Lopez, 19 anni e ferisce altri tre giovani. A sparare è stato Michele Lovopa, 21 anni, per un regolamento di conti tra gruppi criminali. Il 24 settembre 2024 a Pompei un giovane di quattordici anni è stato accoltellato da un coetaneo per una ragazzina. L’11 ottobre 2024 a Rozzano nel milanese, Daniele Rezza, 19 anni, ha dato una coltellata a Manuel Mastrapasqua di ritorno dal turno di lavoro, per rubargli un paio di cuffie. Sempre ad ottobre, a Roma, dopo una serata in discoteca, tre ragazzi tra i 18 e i 20 anni sono stati aggrediti e feriti con un coltello da un gruppo di coetanei e lasciati lì senz’aiuto. Sono storie di ragazzi, storie di vite spezzate di giovanissimi a mala pena diciottenni, protagonisti di violenza. Episodi trasversali a tutta la penisola italiana e che vedono un rapporto stretto tra i giovani e le armi. Cosa spinge un adolescente a impugnare un’arma e a decidere della vita altrui?
Il rapporto del servizio analisi criminale
Partiamo dai dati del rapporto del Dipartimento della pubblica sicurezza per il servizio analisi criminale su “Criminalità minorile e gang giovanili” dell’aprile 2024 che esamina le segnalazioni di minori italiani e stranieri nella fascia d’età tra i 14 e i 17 anni denunciati e/o arrestati sul territorio nazionale e nelle 14 città metropolitane nel periodo 2010-2023. Dalle analisi emerge che i giovani arrestati e/o denunciati per reati come lesioni, percosse, rissa e minacce è pressoché stabile nel tempo con una diminuzione nel 2020, in concomitanza con la pandemia, ed un leggero aumento negli anni successivi.
Le baby gang
Abbiamo parlato del fenomeno con il magistrato Ciro Cascone, per vent’anni è stato procuratore capo al tribunale dei minorenni di Milano, oggi avvocato generale della corte d’appello di Bologna. Cascone ci ricorda che “allo stesso dato possiamo guardare in tanti modi diversi”, sottolineando che “tra il 2021 e il 2023, pur rimanendo sostanzialmente stabile il numero dei minori denunciati, si è andata modificando la qualità dei reati”. La qualità dei reati, ci dice, cambia perché “molti di essi vengono commessi con armi e soprattutto – ha notato – ce n’erano molti compiuti in concorso da più ragazzi insieme, in gruppo”.
Un lieve incremento secondo il rapporto del Dipartimento di pubblica sicurezza, infatti, si è rilevato negli ultimi cinque anni tra le cosiddette baby gang, gruppi di ragazzi tra i 15 e i 17 anni senza una struttura definita, “prevalentemente dediti ad attività violente o devianti presenti in tutte le macro-aree del Paese” che si ispirano ad organizzazioni criminali con cui possono avere dei legami. Le motivazioni secondo il focus per cui i ragazzi si uniscono in bande sono “rapporti problematici con la famiglia o con il sistema scolastico e un contesto di disagio sociale ed economico”.
Le armi bianche
Il magistrato si focalizza su un punto importante, l’uso delle armi bianche in aumento tra i minorenni. Coltelli, lamette, mazze-ferrate e non solo. O meglio, ci dice, “si è sdoganato tra i minorenni, tra gli adulti lo era già da un po’ di tempo, il portarsi dietro un’arma. E molti, tra i ragazzini fermati per controlli ordinari e trovati in possesso di coltelli, riferivano che lo facevano per difesa personale, perché avevano paura, perché Milano era diventata violenta”. Lo facevano sostanzialmente “per sentirsi più sicuri e perché era diventato normale avere questi oggetti al seguito”. Normale lo è per tutti, anche per i ragazzi provenienti da famiglie perbene, che sia un fenomeno trasversale emerge anche dal rapporto del Dipartimento della pubblica sicurezza in cui “si evidenzia come i minori autori di reato provengano non solo da situazioni sociali critiche, ma anche da contesti familiari caratterizzati da soddisfacenti condizioni economiche”.
La superficialità dei giovani
Quello che si è avviato e che tutt’ora persiste è, quindi, una sorta di normalizzazione dell’arma, ma Cascone ci spinge ad aprire ancora di più gli occhi, a puntare meglio la lente d’ingrandimento perché, precisa, quello che raccontano le cronache non restituisce solo “una normalizzazione dell’arma, ma anche una mancanza di consapevolezza, una superficialità generalizzata”. E questa superficialità chiama direttamente in causa il mondo degli adulti, i grandi che da sempre i più piccoli prendono come esempio ed ispirazione. Non si tratta, allora, solo di prendere coscienza ma, sottolinea con poche e chiare parole, di combattere “una battaglia che deve essere culturale, di diffondere la consapevolezza che avere un’arma può indurre ad usarla quando meno te lo aspetti, tra gli adulti prima, tra i genitori, ma anche tra i ragazzi nelle scuole”.
Autori di reato o vittime di un sistema?
L’analisi che ci propone il magistrato è molto ampia e fa luce su una società che sull’educazione e la cura dei giovani sembra zoppicare. Tutti i ragazzi possono cadere nelle maglie di certe devianze. Oggi, racconta secondo la sua esperienza milanese, “c’è una sorta di allarme sui minori stranieri non accompagnati. E – incalza – dobbiamo chiederci, anche qui, come mai? Perché abbiamo un sistema di accoglienza di questi ragazzi che da decenni non è stato adeguatamente curato”. Ci porta un esempio che ci dà un quadro della situazione. Ci dice di “immaginare un minore non accompagnato, un quindicenne, sedicenne o diciasettenne che arriva a Milano, si rivolge ai servizi sociali o viene fermato dalla polizia chiedendo assistenza ed aiuto e gli dicono di tornare il giorno dopo perché non hanno posto in comunità. La stessa sera allora che farà? Andrà in stazione centrale, cercherà di mangiare qualcosa, di socializzare con altri suoi coetanei se ci riuscirà, perché altrimenti verrà prima accalappiato da qualche adulto che gli dirà ‘ti offro io da mangiare, ti offro io un materasso dove dormire, però, mi dovresti fare una piccola cortesia stanotte’, e gli dà le istruzioni per andare a commettere reati”. “Ci si deve chiedere – conclude – se questi ragazzi siano autori di reati o vittime. A mio avviso sono autori di reati, ma contestualmente anche vittime di un sistema”. Questo racconta solo uno spicchio di quella che è la criminalità minorile, oggi.
La costruzione dell’identità
Perché i ragazzi iniziano a commettere reati? “Le spiegazioni sono varie, essenzialmente ognuno cerca di costruirsi un’identità quindi purtroppo questa costruzione della personalità può cominciare a percorrere strade sbagliate. Il dato, però, che c’è da sottolineare è che la maggior parte di questi ragazzi abita in zone e quartieri periferici e marginali. E – continua Ciro Cascone – il dato di fatto che colpisce mettendo insieme più storie è che il più delle volte non hanno un progetto di vita, non hanno una prospettiva futura da costruire”. Alcuni ragazzi non hanno alternativa e, precisa il magistrato, “questo non li autorizza a commettere reati, no”, ma è un fattore comune che traccia un segno nel quadro generale e nelle loro vite. “Questi ragazzi hanno come tutti dei sogni, ma non sanno trasformarli in progetti di vita”. Non riescono a vedere il futuro perché non hanno gli strumenti per farsi chiaro nelle situazioni di disagio che vivono. Qui affondano i tentacoli della criminalità. E, dice con forza Cascone, “se si trovano in quartiere periferico in cui non hanno opportunità di crescita, prima o poi, si faranno abbagliare da qualcuno. Sono anticorpi, quelli contro la criminalità, che mancano loro, per questo dobbiamo fornirli loro con politiche di prevenzione giuridico-sociali”.
La giustizia minorile e le politiche di prevenzione
Della sua esperienza al tribunale per i minorenni di Milano custodisce una speranza che esprime così “è sempre importante ricordare che con i ragazzi si può fare qualcosa, si possono ancora recuperare”. Ma, porta l’attenzione anche su un altro aspetto, il sistema della giustizia minorile. “La giustizia minorile veramente ha un portato di prevenzione, ma con le ultime riforme – la riforma Cartabia e il decreto Caivano – tutto questo si sta snaturando quindi diventa soltanto una giustizia criminale che rinchiude in carcere”. E continua “servono comunità e servono risorse perché – dice – il rischio è che questi ragazzi vengano consegnati al crimine adulto, più ne recuperiamo adesso meno ne avremo di adulti”. Il problema centrale è che la giustizia minorile sembra non riuscire “a seguire il filo rosso di questi ragazzi, non solo quando a quattordici anni cominciano a commettere reati, ma anche prima, per i problemi che avevano in precedenza: dai disagi familiari che vivevano, dalle violenze in famiglia. Alla fine tutto si tiene se si riesce ad intervenire prima”. E conclude, dal carcere “rischiano di uscire peggio di prima se in questo periodo non attuiamo tutta una serie di misure e di sostegni per aiutarli a recuperare, poi non con tutti ci si riesce, ma dobbiamo provarci perché veramente è un’utilità per la società. Bisogna far capire perché non si fanno quelle cose, non solo punire”.