Papa Francesco, una voce dell’antimafia che se ne va

Papa Francesco, una voce dell’antimafia che se ne va

«La ’ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! Coloro che nella loro vita seguono questa strada, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!». Sono queste le parole che Papa Francesco – morto il 21 aprile 2025, il Lunedì dell’Angelo – pronunciò il 21 giugno 2014, durante la sua visita a Cassano allo Ionio, città calabrese dove fu ucciso dalla mafia Cocò Campolongo, un bambino di soli tre anni.  Sono stati tanti i momenti in cui Papa Bergoglio non ha usato mezzi termini per condannare la criminalità organizzata, trasformando i dodici anni del suo pontificato in un vero e proprio manifesto di legalità e giustizia. Eppure, neanche il suo percorso di lotta è sempre stato facile: spesso le sue parole sono state ignorate dai potenti e molti sono stati gli oppositori che hanno rallentato la sua missione, come ha ricordato anche il parroco antimafia Don Luigi Ciotti in un’intervista a Repubblica.  Nonostante tutto però, ha sempre accettato la sfida del cambiamento. Come disse all’apertura del Convegno ecclesiale diocesano del 17 giugno 2013: «Un cristiano, se non è rivoluzionario in questo tempo, non è un cristiano».  

La missione di Francesco 

Il 2014 fu un anno importante per Papa Francesco, che per la prima volta incontrò nella chiesa di S. Gregorio VII a Roma i familiari delle vittime innocenti di mafia. Fu anche l’anno della sua visita in Calabria, dove non ha avuto paura di definire i mafiosi “adoratori del male”. Per questi motivi li scomunicò, sottolineando l’incompatibilità tra le pratiche criminali e il Vangelo. Parole forti, sì, che ricordano molto quelle pronunciate da Papa Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993, quando durante una visita alla Valle dei Templi di Agrigento invitò i mafiosi a convertirsi. Il progetto politico di Papa Francesco però andò ben oltre, arrivando ad istituire un gruppo di lavoro che aveva l’obiettivo di studiare il fenomeno della criminalità organizzata e della corruzione.  

Contro la corruzione (anche della Chiesa) 

Nonostante ciò, questo progetto di studio non portò mai a dei risultati concreti. Come è stato detto da uno dei suoi membri, Don Ciotti, in un’intervista rilasciata a Salvo Palazzolo su Repubblica: «Internamente (al Vaticano, ndr) c’è stato un freno». Nonostante questo, il fondatore di Libera ha ricordato nella stessa occasione che «la sua denuncia delle ingiustizie è sempre stata inequivocabile», come dimostra anche l’invenzione del pontefice della parola “mafiarsi”, che indica i comportamenti di corruzione e malvagità che potevano essere assimilati a quelli mafiosi. «La corruzione nella Chiesa è un male antico che si tramanda e si trasforma da secoli» ha dichiarato il Papa durante un’intervista all’agenzia Adnkronos nel 2020, dimostrando così la sua avversione verso ogni forma di ingiustizia, a partire da quella interna all’istituzione che era stato chiamato a guidare.  

Difendere i territori 

«C’è una totale inconciliabilità tra ogni organizzazione criminale, mafia, camorra o ‘ndrangheta e Vangelo» ripeté ancora una volta Papa Francesco in una lettera inviata alla Lumsa nel 2023, in occasione del convegno che ha celebrato i trent’anni dall’uccisione di Don Pino Puglisi e i dieci anni dalla sua beatificazione. Simili per potenza e convinzione furono anche le parole che pronunciò nel dicembre 2024, quando incontrò a Catania gli studenti e i docenti dello Studio Teologico San Paolo: «La vostra terra ha bellezze naturali e artistiche meravigliose, purtroppo minacciate dalla speculazione mafiosa e dalla corruzione, che frenano lo sviluppo e impoveriscono le risorse, condannando soprattutto le aree interne all’emigrazione dei giovani». In quell’occasione volle non solo incoraggiare le nuove generazioni ad essere consapevoli dei problemi della loro terra, ma anche ricordare che gli studi teologici non possono ignorare ciò che accade sul proprio territorio.  

Il legame con Ostia 

Un esempio dell’attenzione di Papa Francesco verso le realtà colpite dalla criminalità organizzata è proprio Ostia, che ha deciso di visitare per ben tre volte durante il suo pontificato. Proprio lì passò la V domenica di Pasqua nel 2015, nella parrocchia di S. Maria Regina Pacis, e nel 2018 celebrò la messa del Corpus Domini nella chiesa di Santa Monica.  Fu in quell’occasione che fece un chiaro appello alla comunità del litorale romano: «L’ampio lido di questa città richiama alla bellezza di aprirsi e prendere il largo nella vita. Ma per far questo occorre sciogliere quei nodi che ci legano agli ormeggi della paura e dell’oppressione. L’eucaristia invita a lasciarsi trasportare dall’onda di Gesù, a non rimanere zavorrati sulla spiaggia in attesa che qualcosa arrivi, ma a salpare liberi, coraggiosi, uniti». L’ultima sua visita è stata quella del 2024, tenuta al luna park di Ostia Lido per incontrare suor Geneviève Jeanningros, piccola Sorella di Gesù, e la comunità dei giostrai e dei circensi, che ha ritenuto “troppo spesso ignorata”. 

Una lotta dal carattere globale 

Papa Francesco però non pensava la mafia solo come un problema tipicamente italiano, ma vedeva il fenomeno come un danno all’economia e alla sicurezza mondiale. «La società ha bisogno di essere risanata dalla corruzione, dalle estorsioni, dal traffico illecito di stupefacenti e di armi, dalla tratta di esseri umani, tra cui tanti bambini, ridotti in schiavitù – ha detto nel 2017, ai membri della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo – Sono autentiche piaghe sociali e, al tempo stesso, sfide globali che la collettività internazionale è chiamata ad affrontare con determinazione”. Una lotta non solo decisa, ma che non ha avuto confini sulla faccia della terra. Sempre nel 2017, nei giorni in cui visitò Città del Messico, Michoacán e Ciudad Juárez, il Papa ha affermato: «Il Messico della Violenza, della corruzione, del traffico di droga, dei cartelli, non è il Messico che la nostra Madre vuole». Ancora più forti le parole rivolte agli abitanti della città argentina di Rosario, colpiti da povertà e violenza dei narcotrafficanti. In un videomessaggio, il Pontefice ha denunciato il fatto che «Senza complicità di un settore del potere politico, giudiziario, economico, finanziario e della polizia non sarebbe possibile arrivare alla situazione in cui si trova la città di Rosario». 

Beni confiscati, un modello italiano da esportare 

Si è tenuto nel settembre del 2024 in Vaticano il Convegno sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, una vera novità introdotta per volere di Bergoglio. In un messaggio inviato ai partecipanti, il Papa scrisse: «Gli stati, attraverso le loro istituzioni, non solo devono indagare e giudicare la mafia, ma anche collaborare tra loro per identificare i suoi beni e recuperarli, e ciò per rendere impossibile la prosecuzione degli illeciti». Fu l’occasione in cui venne esaltato il modello italiano, giudicato in grado di restituire i beni alla comunità e riparare il danno fatto con le attività illecite. «Vi incoraggio a condividere le vostre esperienze e riflessioni, ma senza perdere di vista le vittime e la comunità, orientandovi all’azione e intendendo il diritto e la giustizia come una pratica che ha come scopo la costruzione di un mondo migliore». Così terminò il suo messaggio, con un riassunto dello spirito con cui, in dodici anni, ha portato avanti la sua battaglia.